Tratto dal diario di mio padre: Roberto Chialastri,
spirito libero tra prigionieri della mente , eretico
in un mondo di saggi, seppe capire tutti quelli
che lo conobbero anteponendo sempre l'Uomo
a qualunque privilegio o etichetta che il mondo borghese esigeva.
L'Uomo innanzi tutto, prima della divisa, prima del
colore, l'Uomo prima del capitale.
Il capitale al servizio dell'Uomo e non l'Uomo al servizio
del Capitale.
Trascritta dal cyberamanuense Lorenzo Chialastri
La guerra è finita da poco, lascio il mio
paese, distrutto dai bombardamenti. Saluto la mia famiglia che ha
perso mio fratello maggiore, Luigi.
"Giggetto", operaio tornitore, voleva socializzare
la "sua" officina Venzi, avrebbe voluto andare al Nord, con la
R.S.I., ma non riuscì a coronare il suo sogno, una bomba
"stelle e strisce" glielo impedì.
Povero "Giggetto", aveva 21 anni, lo ritrovammo
sotto le macerie dopo aver scavato per 15 giorni, durante i quali trovammo
bambini, donne, uomini senza vita. Qualcuno riuscimmo a portarlo fuori
vivo.
"Giggetto" lo riconobbi dal tacco dei suoi stivali
e da questi, con la delicatezza di chi prende un bimbo tra le braccia,
l'estraemmo da quelle rovine e lo adagiammo in un lenzuolo bianco. Per
ogni corpo senza vita che trovavamo, mio padre mi mandava a casa a prendere
un telo, non so come, non so da cosa, ma mia madre capì, che quest'ultimo
lenzuolo era per il nostro Giggetto.
Papà, falegname, improvvisò una bara e senza
il conforto di un sacerdote, senza l'accompagno di nessuno, lo portammo
al cimitero, a spalla, io, papà, e alcuni amici.
Dietro la bara vi era solo mia madre. In piazza si cantava
"bandiera rossa" e al cimitero dovemmo scavare la fossa da soli.
Roma era stata "liberata" da due settimane ed i
"piccoli uomini" indossavano nuove camice d'altri colori
già da quindici giorni.
Cave 11 ottobre 1945
Lascio il mio paese con tristezza, ma è ben poca cosa
rispetto all'angoscia che nutro guardando la nostra Italia.
Prendo il "trenino" per Roma: mi arruolo nei Carabinieri.
Roma settembre 1946
Il mio battaglione viene destinato in Emilia,
con l'incarico di rastrellare l'Appennino tosco emiliano. Siamo alloggiati
nella caserma S.Ruffillo, si esce ogni sera alle 21 e si fa rientro alle
5-6 del mattino. Si rastrellano paesi e paesetti , rinveniamo armi di tutte
le specie, dai carri armati ai fucili automatici, alle bombe a mano.
Dopo qualche mese di rastrellamenti, la mia compagnia, la
terza, ha il compito di sorvegliare il Carcere di S.Giovanni in Monte,
del capoluogo emiliano.
Il carcere è colmo di detenuti politici, in prevalenza
giovani della Repubblica Sociale Italiana. Vi sono personalità del
disciolto governo e partito fascista, in attesa di giudizio, e alcuni cappellani
militari che con la loro parola e le loro preghiere riescono a tenere alto
il morale dei detenuti.
L'interno del carcere è sorvegliato dai secondini
e dai partigiani, l'esterno dai carabinieri.
Nel guardare l'elenco dei detenuti politici, tra i "criminali
di guerra", trovo il nome di un mio amico: Maggi Otello di Cave. Con
uno stratagemma e con l'aiuto del vicedirettore riesco a parlargli.
Mi trovo in una saletta quando arriva Maggi, per il freddo avevo il bavero
del cappotto alzato che mi copriva gli alamari dell'Arma, nel vedermi mi
scambia per un detenuto e salutandomi col braccio teso, cade a terra.
Otello si regge su due rudimentali stampelle , ha una gamba
amputata. Alla mia domanda ha risposto che prestava servizio in una formazione
della R.S.I. quando il suo Reparto venne attaccato dai partigiani. Ci fu
una violenta sparatoria a seguito della quale vi furono morti e feriti
da ambo le parti. Nella circostanza rimase ferito, lo condussero nell'ospedale
e gli amputarono la gamba.
Nel guardare quella porta che si richiudeva inghiottendosi
il mio amico sentii un dolore che sembrava mi strappasse il cuore. Ora,
a guerra finita, è un "criminale", mentre i partigiani
sono tutti eroi.
I detenuti politici che riesco ad avvicinare dicono che hanno
creduto e servito Mussolini, per tenere alta la bandiera dell'Onore, per
non essersi piegati al tradimento badogliano dell'otto settembre '43.
Sono giovani e anziani orgogliosi della loro scelta.
Bologna 27 dicembre 1946
Sotto e dentro le gelide mura del carcere di San Giovanni
al Monte, sono di servizio per l'intera giornata.
Durante il servizio cerco di parlare con Maggi, sono giunto
al piano che ospita i "criminali" ma due agenti della polizia
partigiana incominciano ad inveire dicendo che i Carabinieri devono prestare
servizio all'esterno del carcere. L'atmosfera si riscalda, siamo tutti
armati, che fare? con amarezza rinuncio.
Bologna 31 dicembre 1946
Ultimo giorno di quest'ormai tramontato 1946. Mi accorgo
che tra la gente vive ancora l'odio della guerra civile che qualche anno
fa insaguinava tutte le città del nord Italia e ancora oggi semina
improvvisi e non troppi misteriosi delitti. Sono triste pensando che tra
gli italiani la riconciliazione tarda nel venire.
Costato con amarezza che l'odio, l'egoismo, l'indifferenza,
sono più forti dell'amore.
Spesso mi domando, perché il fato non continua a dare
ciò che promette ai giovani nella loro infanzia?
In mezzo a tante riflessioni, a tanti pensieri, mi soffermo
e nel pensare alla Fede, a Dio, alle virtù insegnatemi da mia madre,
trovo la forza e la fiducia nella vita e nel domani.
Sono le 24, mi sono corricato, ma non riesco a dormire.
Penso alla mia infanzia, a via San Lorenzo n.10, ai chiodi
piantati dappertutto, alla mia famiglia, allo scempio di Piazzale
Loreto.
Penso a "Giggetto" e alla sua adesione al
P.F.R.. Penso al "tradimento".
Fu alla "Breda", dove lavoravo, che per la prima
volta sentii parlare di tradimento. Mi domandavo, cos'è il tradimento?
E' possibile che vi sono italiani che tradiscono la propria Patria. Erano
interrogativi che mi porgevo e mi porgo ancor oggi.
Con amarezza, oggi, posso affermare che vi sono stati troppi
traditori che or si fanno chiamare eroi.
Castelfranco Emilia 15 gennaio 1947
Ore 11, arrivo alla Stazione Carabinieri della suddetta città.
Castelfranco Emilia è un grosso paese di 20.000 abitanti,
a metà strada tra Bologna e Modena . E' pianeggiante, con Manzolino
e Piumazzo forma una zona meglio conosciuta come "il triangolo della
morte". Una cinquantina di persone, dalla fine della guerra, sono
state uccise, perché fascisti o ritenuti tali. Gli abitanti del
luogo, hanno paura e si chiudono la bocca . Molti sicuramente sanno ma
non osano parlare. Le rapine sono all'ordine del giorno, al pari d'incendi
e furti di bestiame.
La spaventosa catena di delitti che ha bagnato Castelfranco
non è finita. Molte, troppe persone mancano da casa e non si sa
la loro fine.
Il comandante della stazione è M.M. Cau Silvestro.
L'energico comportamento del detto sottufficiale, ha provocato interpellanze
al parlamento e l'Unità, più volte ha invocato il suo trasferimento.
Castelfranco Emilia 6 febbraio 1947
Sveglia alle ore 4. Ha inizio un'importante operazione di
servizio per l'identificazione degli autori della scomparsa di tre giovani,
in Manzolino, avvenuta nella primavera del 1945. La nostra azione viene
appoggiata dai carabinieri di Modena, al comando del capitano Lazzari.
Alle ore 6, facciamo irruzione in sedici abitazioni di persone che si erano
glorificate del fatto e quindi fortemente indiziate. Tutti gli indiziati
vengono "sorpresi" al letto e trasportati in caserma ove
il maresciallo e il capitano iniziano gli interrogatori. Il dramma
si può in parte ricostruire.
Nel maggio del 1945, tre torinesi, transitavano per Manzolino
ed avevano una cospicua somma di denaro, oltre un milione, vennero fermati
e condotti in un campo, ove, dopo un breve "processo" , da parte
del tribunale del popolo vennero uccisi a colpi di mitra, rapinati e sepolti
in un luogo ancora sconosciuto.
Castelfranco Emilia 7 febbraio 1947
Tutta la notte piantonamento delle persone fermate. Nella
mattina sei di loro vengono messi in libertà. Gli interrogatori
proseguono senza sosta. Le persone fermate sovente cadono in contraddizione.
Fanno del tutto per ostacolare le indagini ma è evidente che tra
loro esiste l'autore o gli autori del delitto.
Per la ricerca dei cadaveri, nel pomeriggio, ci siamo portati
a Manzolino e nella valle centrale abbiamo incominciato ad operare dei
sondaggi nel terreno, soffermandoci in determinati settori indicateci da
alcuni passanti. Fino a tarda sera sono continuati gli scavi, poi, senza
risultati concreti, abbiamo fatto rientro in caserma.
Castelfranco Emilia 8 febbraio 1947
Piantonamento dei detenuti per tutta la notte. Di buon mattino
si riprendono i lavori di sondaggio nel terreno della valle maledetta,
nella speranza di recuperare le salme dei scomparsi. Alcuni fermati ci
mettono su piste sbagliate, ma gli interrogatori proseguono perché
nelle case di alcuni di loro sono stati rinvenuti oggetti dei torinesi
scomparsi.
Castelfranco Emilia 11 febbraio 1947
Abbiamo fermato altre quattro persone sospette, tra cui una
di loro, che non sembra essere tanto sana di mente, asserisce di poterci
indicare il posto dove sono sepolti i giovani. Ci ha fatto fare due fosse
nella neve, ma... niente. Il maresciallo è andato su tutte le furie,
e per intimidire l'uomo gli dice che lo avrebbe ammazzato con le sue mani
se non rivelava il luogo della sepoltura, il fermato comincia a tremare
e strillando ci dice :"fermatevi, sono sepolti sotto i pioppi!".
Portateci sul luogo indicatoci, in una vecchia piazzola di
mitragliatrice, abbiamo trovato due cadaveri dei tre torinesi da tempo
ricercati. Nella valle si cerca ancora di recuperare la terza salma.
La caserma è piena di detenuti, il maresciallo ne
ha fermati altri quattro. I resti dei torinesi , in serata, sono stati
fatti trasportare nel cimitero a disposizione dell'A.G.(Autorità
Giudiziaria).
Castelfranco Emilia 12 febbraio 1947
Tutti i carabinieri ed il maresciallo, verso le ore 1.30,
si portano nel "triangolo della morte" in quanto, uno dei fermati
aveva rivelato il luogo della sepoltura del terzo torinese.
Alle ore 02,30, i quattro arrestati vengono trasportati al
carcere di S.Eufemia, di Modena, per triplice omicidio.
Castelfranco Emilia 25 Febbraio 1947
Comandante, sottufficiali, carabinieri ore 03: partenza per
Manzolino. E' buio. Una lenta pioggia penetra pian piano nelle nostre ossa.
Meta: il "triangolo della morte". Obiettivo: ricerca delle salme
di due ragazze trucidate , a guerra finita, nell'estate del 1945.
Un genitore di dette ragazze , da più tempo, aveva
denunciato la scomparsa della figlia, ma non era stato preso in considerazione.
Si dice che molte, troppe, ragazze mancano da casa e convivano magari a
"Tombolo" ove si prostituiscono con gli appartenenti degli eserciti
di tutto il mondo.
A far muovere le indagini sono accaduti fatti , tra i quali
il rinvenimento di una catenina d'oro, e testimonianze che ci hanno assicurato
che le ragazze furono invitate nella Caserma dei partigiani, da quel momento
nessuno le ha più viste. Per avvalorare la nostra tesi, d'omicidio,
occorrono le prove, occorre trovare almeno i cadaveri.
In venti carabinieri ci troviamo nella "valle della
morte": Il maresciallo ci divide in gruppi. Tra fango, pioggia e neve,
contemplo questo triangolo piatto e silenzioso che ha racchiuso, racchiude
e racchiuderà misteri dolorosi ed incivili.
E' ancora buio, per procedere all'arresto e alle perquisizioni
dobbiamo attendere l'alba. Per rendere più sicuro il nostro operato,
il nostro comandante di stazione ci divide in due gruppi, uno comandato
da lui l'altro dal maresciallo Calabrese.
Iniziano le perquisizioni. Con sorpresa notiamo che le persone
da noi ricercate non si trovano in casa. Qualcuno sicuramente le ha avvertite
e si sono messe al sicuro.
Vengono eseguiti alcuni fermi, e gli interrogatori seguono
anche nel pomeriggio. In serata, dopo aver lasciato importanti dichiarazioni,
sono rimessi in libertà tutti meno che la signorina M. A.. che chiusasi
in un ostinato silenzio non vuole rispondere a nessuna domanda.
Castelfranco Emilia 26 febbraio 1947
Di buonora il maresciallo Cau ha ripreso ad interrogare la
signorina M.... La ragazza, dopo tanto silenzio, è presa da una
crisi di pianto. Tra una lacrima e l'altra, ha precisato il luogo
esatto dove, nel maggio 1945, due ragazze vennero assassinate. A bordo
di un camioncino, ci portiamo nella valle. La M... , si porta il fazzoletto
al viso e scoppia a piangere. L'ora del pentimento stava arrivando!
Giunti a meta valle, a circa 100 metri dal mulino a vento,
ove un canale divide la zona, e da altrettanti metri dal luogo ove abbiamo
rinvenuto il corpo dei torinesi trucidati, la signorina ci indica un punto
dicendo: "qui, ho visto seppellire la signorina Cocchi Vittori e la
De Angelis Italia". Immediatamente iniziamo i lavori di disseppellimento.
La M... piange continuamente, viene accompagnata in caserma.
Dopo un'ora di scavi, i resti delle povere ragazze incominciano
ad affiorare. Nel mentre viene alla luce una testa, sopraggiunge un uomo
sconvolto e sconosciuto.
E' il padre della povera Cocchi che, nel vedere la figlia
ridotta in quello stato, incomincia a piangere ed implorare a mezza voce
il nome della figlia.
I due cadaveri, ormai scheletriti, sono sotto i nostri
occhi.
Uno dei due , forse quello della Cocchi, presenta un foro
alla testa. Le ragazze sono entrambi nude. Hanno le mani legate alla schiena
col fil di ferro. La morte risale a qualche anno fa ma la loro capigliatura
è ancora intatta, ancora bella.
Aspettiamo l'arrivo del Giudice e del medico, ma si fa sera
e non viene nessuno. Alle 18.00 viene un brigadiere e dice
al maresciallo che l'autorità giudiziaria non può venire
prima di domani. Il maresciallo brontola qualcosa in sardo, che non capisco,
poi si rivolge a noi e dice: "ragazzi, vi chiedo un grande favore,
un sacrificio, io devo rientrare per la segnalazione, voi dovete rimanere
in questa valle a piantonare i resti di queste ragazze. Mi raccomando state
con gli occhi aperti, qualcuno, anche con la forza, potrebbe farli sparire.
In caso di necessità sparate senza complimenti. Domani avrete il
cambio."
"Valle della Morte" 27 febbraio 1947
Ormai non c'è più nulla da fare, io con altri
cinque colleghi, ci siamo messi l'anima in pace, dobbiamo passare la notte
in questa valle maledetta a piantonare le ragazze.
La valle si trova al centro del triangolo Castelfranco-Piumazzo-Manzolino.
E' divisa da un grosso canale e numerosi canaletti. Da una parte confina
con una lunga fila di pioppi e dall'altra con un rustico mulino,
fuori uso.
Stando al centro della valle, soltanto portando l'occhio
lontano, è possibile vedere qualche casetta, altrimenti non si vede
che pianura acquitrinosa, si respira aria di morte. Con i colleghi, a mezzanotte,
abbiamo preso la decisione di dividerci in due gruppi e fare due ore di
servizio nella fossa che racchiude i resti delle povere ragazze,
e due ore in una vicina stalla che abbiamo fatto aprire da alcuni contadini
che ci guardano impauriti.
Nel cielo della valle, mezzo specchio di luna illumina la
zona e si rispecchia nel canale maggiore, rendendo lo scenario ancora più
malinconico.
Verso le 02, anche lo specchio di luna scompare, rimane soltanto
il mormorio delle acque dei canali che, nel silenzio della notte, par che
dica: "perché tanto odio!".
Verso le ore 04, delle raffiche di mitra, sparate da lontano,
destano la nostra attenzione. Tutti ci portiamo nella fossa pronti a sparare
contro eventuali attacchi, ma... non arriva nessuno. Nel contemplare e
meditare la notte, spunta l'alba, accompagnata da una lieve nevicata.
I resti delle ragazze sono a terra, li guardiamo attenti.
Sembra che le ragazze ci dicano qualcosa , ci porgano delle domande, ci
chiedano aiuto, ma nessuno comprende il loro dire, quindi nessuno risponde,
un silenzio totale domina la scena.
Siamo rimasti a piantonare le giovani assassinate fino alle
11, poi è giunto il cambio e siamo rientrati in caserma. Il Procuratore
ed il medico del Tribunale, giunti nelle prime ore del pomeriggio, stabiliscono
che le ragazze furono uccise a seguito colpi d'arma da fuoco alla nuca.
Alle 16, i resti delle due salme, accompagnati da alcuni carabinieri, vengono
portati nel cimitero di Manzolino.
Dopo il rinvenimento delle due sfortunate ragazze, il maresciallo
ricomincia le indagini, in tutte le direzioni, per la identificazione degli
autori del barbaro delitto.
E' mezzanotte inoltrata, il maresciallo è ancora in
ufficio, sembra non darsi pace.
Noi giovani siamo orgogliosi ed ammiriamo il modo di agire
e di comportarsi del nostro Comandante, nonostante le minacce e le lettere
anonime che riceve.
Castelfranco Emilia 28 febbraio 1947
Di buon ora ricominciano gli interrogatori d'alcuni fermati.
La fatica del maresciallo viene premiata, alle 8, riesce ad identificare
gli autori dell'assassinio delle due ragazze. Si tratta di tre uomini uno
dei quali è già rinchiuso nel carcere di Modena, mentre gli
altri due sono latitanti.
Alle 12, nel carcere di Modena, il "sig."
S. Z., messo davanti a prove schiaccianti, confessa di essere l'autore
del crimine in argomento e d'altri delitti fra i quali quello dell'assassinio
dei tre torinesi. Dopo le rivelazioni dello Z..., si stabilisce che il
delitto dei giovani piemontesi fu la conseguenza di una rapina, mentre
quello delle ragazze venne dettato da odio politico. Con cinismo e spavalderia,
lo Z... , asserisce che si trattò d'azione di guerra e prosegue
il suo racconto dichiarando che la Cocchi Vittoria e la De Angelis Italia,
in una notte, della primavera del 1945, vennero prelevate, denudate, schiaffeggiate
e violentate, perché fidanzate di fascisti. Il corteo si avviava
nella "Valle della Morte" quando la De Angelis sfinita si accasciò
accanto all'argine del canale
implorando: "non ne posso più". Lo
Z... l'invitò ad alzarsi, ma, siccome non ubidì, dichiara
ancora: "estrassi lentamente la pistola cal.9 che avevo in tasca e
gli sparai in faccia", la De Angelis cadde bocconi. A quella
fulminea scena la Cocchi lanciò un grido di orrore, ma l'urlo
gli morì sulle labbra, un secondo colpo di pistola la raggiunse
al capo e l'azzittì per sempre. Poi, il partigiano, rivolgendosi
agli altri presenti disse: "è fatta".
Lo Z..., prosegue il suo dire, asserendo che quando le ragazze
vennero "giustiziate", erano presenti altri "combattenti
della libertà", tra i quali il C..., il B..., l'A. R. e l'A..
M..
Al termine delle indagini, il maresciallo ha denunciato,
per omicidio multiplo ed aggravato, lo Z... , e altri per complicità
nel delitto.
A Castelfranco, a Bologna, a Modena, in tutta l'Emilia, si
parla delle operazioni di servizio della stazione Carabinieri di Castelfranco.
Tutti i giornali ne parlano.
Dei confidenti riferiscono che delle "personalità"
si sono portate a Roma, presso il Ministero competente, per chiedere il
trasferimento immediato del maresciallo Cau e di tutti i sui dipendenti.
Vogliono che il nuovo maresciallo si faccia i fatti suoi, non rompa...
le uova nel paniere.
Castelfranco Emilia 8 marzo 1947
Durante la giornata, improvvisamente ed inaspettato, è
giunto il trasferimento del brigadiere Molliconi, non c'è dubbio
che il primo collaboratore del maresciallo è stato proprio lui.
Tutti ci siamo chiesti il perché. Forse...
Castelfranco Emilia 11 marzo 1947
Il maresciallo ha riunito tutti i militari effettivi e aggregati.
Ci ha parlato della situazione dell' Ordine Pubblico nella giurisdizione,
dopo averci ringraziato, per la collaborazione, ci ha invitato a ricercare
tali B. V. e B. F., autori e mandanti principali di numerosi
delitti consumati, conosciuti e sconosciuti, verificatesi nel "triangolo
della morte".
Chi sono costoro? Quel che si può dire di sicuro,
sono latitanti, da quando il maresciallo Cau comanda la Stazione. Molti
dicono che si trovano all'estero, altri che sono protetti "in alto
loco", perché eroici partigiani.
Castelfranco Emilia 12 marzo 1947
Alle 11,30 arriva il trasferimento di Mazza, del più
giovane e rispettoso del nostro distaccamento: Anche di questo trasferimento
ci chiediamo perché? forse, uno alla volta, ci vogliono trasferire
a tutti?
15-18 pattuglia in paese con Mastrocola: l'aria è
calda, la gente ha lasciato il cappotto, le donne parlano allegre e si
godono i raggi del sole.
Il maresciallo sta iniziando le indagini per la scoperta
degli autori dell'assassinio di Don Giuseppe Tarozzi, parroco di Riolo,
assassinato sulla porta della canonica.
Castelfranco Emilia 13 marzo 1947
Giunge notizia da "radio fante": vi saranno numerosi
trasferimenti per ignota destinazione! un fonogramma ordina il nostro
trasferimento!
Nonostante le proteste del maresciallo Cau, in serata, giunge
l'ordine che la terza compagnia "Roma" distaccata a Modena, e
il distaccamento di Castelfranco, di detta compagnia, verranno trasferiti
a Ferrara.
Per il momento, il maresciallo Cau, non è trasferito,
come hanno chiesto numerose personalità, ma gli hanno tolto quindici
giovani carabinieri che gli davano sicurezza e possibilità d'agire.
Credo che il nostro trasferimento è stato voluto per
dare una lezione al maresciallo Cau.
Ferrara 14 aprile 1947
Per tutta la giornata la compagnia è stata a
disposizione presso la Corte d'Assise, si sta svolgendo un importante processo
contro un ufficiale della R.S.I..
I giornali già parlano di condanna a morte.
Ferrara 15 aprile 1947
Metà dei carabinieri, della nostra Compagnia, si trova
in servizio di O.P., in Tribunale, la rimanenza, è a disposizione
in Caserma. Io mi trova tra quest'ultimi.
Ferrara 16 aprile 1947
Di servizio alla Corte d'Assise, dove sta svolgendo il processo
a carico del Capitano della Guardia Nazionale Repubblicana, Carlo Tortonesi.
Accanto all'imputato, vi sono tre giovani, accusati dello
stesso reato.
L'aula è gremita di pubblico minaccioso. Gli arrestati
sono accusati di aver aderito alla Repubblica di Mussolini e di aver fucilato
partigiani.
Sono chiamati a deporre una sessantina di testi, sono tutti
partigiani che depongono contro gli imputati. Depone anche un ex-militare.
Il suo dire è a favore degli imputati e il pubblico ministero chiede
il suo arresto per collaborazionismo.
Il Capitano Tortonesi vanta la sua appartenenza all'Esercito
di Graziani ed ammette che più volte il suo reparto venne impiegato
nei rastrellamenti antipartigiani, nei quali vi furono morti ambo le parti.
L'Ufficiale si dichiara responsabile del come operarono i militari che
si trovavano ai suoi ordini.
Sulla giacca, del capitano, spicca un nastrino celeste, a
testimonianza della sua medaglia d'argento guadagnatasi in Africa settentrionale,
a Bardia, e un distintivo d'invalido di guerra.
La popolazione preme la Corte. L'avvocato della difesa illustra
le doti eroiche del tempo trascorso dal Tortonesi in Africa, ma non può
portare a termine il suo dire a causa degli urli della folla
inferocita.
Il Capitano non si sgomenta, rivolto alla Corte dice: "rifarei
quel che ho fatto, ho servito L'Italia!".
La Corte si ritira e fa ritorno dopo mezz'ora.
Il Capitano, Carlo Tortonesi, è condannato a morte,
i suoi dipendenti, rispettivamente a 21, 15 e 8 anni di reclusione.
Dopo la sentenza, quando l'abbiamo portato, in carcere, abbiamo
rispettato un religioso silenzio a rompere il quale il condannato ci ha
detto: "Coraggio, ragazzi, non è da tutti viaggiare con un
condannato a morte!".
A mezzanotte, dopo aver consegnato il condannato al carcere,
abbiamo fatto rientro in Caserma, ponendoci interrogativi ai quali è
difficile rispondere.
Il ricordo del carcere di S.Giovanni in Monte,
del "triangolo della morte", la condanna a morte dell'Ufficiale
della G.N.R., sono fatti che, seppur nessuno ne parla, rimarranno presenti
nel corso della mia vita .
M'aiuteranno a rendermi conto di chi della politica fa l'arte
della ipocrisia:
Si premia chi cambia bandiera, chi serve il padrone vincente,
si punisce chi è fedele alla parola data.
I più puri sono quelli che più pagano.
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