Altrove nella nostra antologia vi sono pagine che parlano del sacrificio
che giovani italiani offrirono nell'Italia invasa dall'esercito angloamericano.
Molrti di essi caddero fucilati. Vedi: «SABOTATORI»
DELLA RSI FUCILATI DAGLI ALLEATI Furono trattati come spie degne di
disprezzo e presto furono dimenticati: in realtà furono dei puri
eroi
Sulla vicenda abbiamo ricevuto quanto segue.
Per una strana coincidenza, sfogliando su internet, ieri,
16/4/01, ho trovato una relazione sui REPARTI SPECIALI DELLA RSI: RESISTENZA
AGLI INVASORI ANGLOAMERICANI, redatta da Pio Acquaroli, ed altri,
in cui viene citato il nome di mio cognato, fucilato a Roma nel 1944 dagli
anglo-americani. Il suo nome viene semplicemente indicato come 'fucilato',
specificando che si ignorano il luogo e i nomi degli altri ragazzi, fucilati
anch'essi. Possiedo il documento dattiloscritto e firmato dal sacerdote
che ha seguìto tutta la sciagurata vicenda, nonchè
l'ultima 'lettera' del mio congiunto, scritta al fratello, mio marito,
oggi defunto, e anche lui in carcere per gli stessi motivi, su un foglietto
ormai ingiallito, e che conservo religiosamente. Si cita tra l'altro
il luogo della fucilazione nonchè il nome dei cinque ragazzi
fucilati. Sono dispostissima a trasmettervi copia del documento o a ricopiarlo
io stessa. Non si tratta comunque degli atti processuali; quelli...sono
spariti. Per onorare la memoria di quei giovani che hanno creduto
in un'Italia libera.
Aurora Sacco Fiandro
Da: efiandro[SMTP:efiandro@tiscalinet.it]
Inviato: domenica 22 aprile 2001 23.32
A: italia-rsiCHIOCCIOLAitalia-rsiPUNTOorg
Oggetto: la nostra storia (2)
Grazie del suo messaggio. Avrei voluto essere molto più
informata per poterle fornire un resoconto circostanziato e preciso degli
avvenimenti che ci interessano. Devo quindi, forzatamente limitarmi
a ciò che so e cioè che mio marito e suo fratello erano appena
arrivati in Italia dall'Egitto quando scoppiò la guerra.
Facevano parte del GILE e venivano in colonia estiva. Io non facevo
parte del folto gruppo (avevo solo cinque anni a quell'epoca).
Mio marito Eugenio (quattordicenne) e suo fratello Carmelo (sedicenne)
furono ospitati nel collegio di Anzio dove trascorsero il periodo della
guerra, non so se tutto o in parte. Tutti e due presero il brevetto
di radiotelegrafisti, e si trovarorono tra i 'tanti' a non voler
cambiare 'casacca' ...dopo.
Molti dei ragazzi tornarono in Egitto nel 1946 o giù di lì.
Alcuni tornarono più tardi; altri non tornarono affatto.
Nell'autunno 1944 (credo) Eugenio, Carmelo ed altri vennero arrestati
dagli anglo-americani. Ci fu un processo politico, breve e da quanto
mi ha raccontato mio marito, non proprio 'giusto'. Testimoni falsi e accuse
tali da alterare ampiamente la verità. Eugenio venne
condannato a dieci anni di reclusione e Carmelo alla pena capitale.
Le trascrivo ora la relazione scritta dal sacerdote che ha seguìto
la vicenda e che la famiglia Fiandro ha ricevuto, al Cairo, dopo un anno
dall'accaduto.
29 NOVEMBRE 1944
Alle ore 10.30 mi avvertono
il Capit. Freemann e il Direttore Comm. Donati che nel pomeriggio alle
ore 16.30 si dovrà procedere alla esecuzione capitale dei cinque
condannati LINO MASIN, LORENZO PIZZI, CARMELO FIANDRO, NICOLA ABATE
e GIOVANNI MACRELLI. Mi adopero perchè tutti abbiano un sacerdote
a loro disposizione e alle ore 16.30 (sic) ci rechiamo con gli ufficiali
inglesi e americani nelle celle per leggere a ciascuno la sentenza di esecuzione.
I primi tre accolgono la sentenza con grande calma, Lino non tarda anzi
ad ambientarsi col suo solito entusiasmo a questa improvvisa atmosfera
di morte; è per lui un giorno di gioia questo in cui può
offrire a Dio e alla Patria il dono più prezioso e costoso, quello
della sua vita e della sua giovinezza. La sua serenità si
trasmette come un sano contagio anche agli altri. Lorenzo gli è
più vicino spiritualmente e sorride senza mostrare agitazione di
sorta; accetta l'olocausto che era già in programma fin dall'inizio
della sua missione. Carmelo sembra addirittura invulnerato dalla
fulminea notizia che avrebbe atterrato qualunque cuore men saldo; ha subìto
nei giorni precedenti tremende crisi di fede religiosa dalle quali è
uscito piuttosto malconcio, ma ora il suo sguardo smarrito ha ripreso la
sua luce e la sua fermezza; mi confida alcune cose di carattere molto intimo
che io consiglio di manifestare al sacerdote che lo confesserà e
mi dice che è contento di disprezzare tutto ciò che nelle
sue opere ha potuto oltraggiare il Crocefisso e il Vangelo. Nicola
accoglie l'annuncio prima con aria impassibile e poi sprezzante: gli alleati
si mostrano ben deboli a suo parere se si decidono dopo due o tre mesi
dal processo ad eseguire la sentenza capitale contro giovani che nulla
d'importante avevano potuto fare nella grande massa delle operazioni;
in seguito si sente profondamente commosso al pensiero della giovane moglie
che sarà vedova; per lei soltanto non avrebbe voluto morire.
Gianni mastica amaro e poichè vorrebbe del vino che non gli vien
dato esce dalla cella e lo grida a tutti i suoi compagni di prigionia (il
vino lo ebbe poi da me). Nessuno ha imprecato contro il destino,
ma tutti hanno trovato nel pensiero e nell'amore di Dio la forza di accettare
la morte come la porta per raggiungere la felicità. Chiedono
di poter scrivere ai loro cari il loro supremo addio e viene loro concesso;
le lettere raccolte dal tenente Bartolucci per la censura (paura
dei morti?), sono state inviate dopo quindici o venti giorni dall'esecuzione.
Con sincera contrizione si confessano tutti e con vera gioia ricevono la
loro ultima comunione. Lino è raggiante: mi restituisce i
libri della "Esposizione del dogma cattolico" di Monsabre dicendomi:
"Ora non ho più bisogno di studiare queste cose perchè
tra poco vedrò tutto con i miei occhi". Non so trattenere
la commozione e lo abbraccio piangendo, lo stesso mi accade con Renzo.
Carmelo, alle mie domande preoccupate per le crisi passate mi assicura:
"Ora sono completamente tranquillo". Gianni pensa alla
mamma e alla fidanzata. Nicola mentre mette nella roba che lascia
le fotografie, trattiene con sè quella della sposa, la bacia e se
la mette sul cuore: la porterà con sè fino alla morte.
Le guardie inglesi, assai deferenti verso di essi, li lasciano uscire dalle
celle e girare per tutto il carcere a salutare gli amici e i compagni.
Lino dice parole che rimangono scolpite indelebilmente nella memoria: "Abbiate
fede e pregate per noi: la morte è la porta che ci apre il possesso
di Dio. Pregate, da Dio solo viene la forza e la gioia..."
Alle 15.30 vengono chiamati: è l'ora della partenza. Dopo
un ultimo cordiale saluto ai compagni salgono sul camioncino che li porta
fino al Forte Bravetta. Io sono con loro, Lino è accanto a
me, poi Nicola, di fronte ho Renzo, Carmelo, Gianni. Durante il percorso
sono sereni, sorridenti, non rimpiangono più la vita; sono persuasi
(e se lo dicono) che questo è il dono più bello da offrire
a Dio in cambio dei peccati commessi e alla Patria per la sua risurrezione.
Lino e Renzo con Carmelo ricordano il verso del poeta: "Chi per la
Patria muor vissuto è assai", poi Renzo declama una sua poesia
composta negli ultimi giorni di prigionia. Insieme pensano a tanti
altri giovani che combattono e che soffrono; anche per essi offrono il
loro sacrificio. Lino pensa con gioia alle emozioni provate nel suo
ritorno alla fede; è questa fede che gli dà il coraggio della
prova suprema e pensando alle Associazioni di Azione Cattolica dove tanti
giovani si addestrano alle pacifiche battaglie di Cristo esclama:"Ah!
i giovani di Azione Cattolica quanto bene fanno!". Trascorriamo
qualche tempo in preghiera col cuore sulle labbra, specialmente passando
davanti alla Chiesa del SS. Crocifisso quando volgendo il pensiero a Gesù
Sacramentato nascosto nel Tabernacolo e presente ancora nei loro petti
rinnovano la Comunione spirituale.
Sentendo da me che alla
esecuzione dovranno andare prima tre poi gli altri due, gareggiano tra
loro chi dovrà essere tra i primi. Lino col suo solito entusiasmo
è tra questi, ma poi rinuncia dicendo: "Sarò tra gli
ultimi, così potrò soffrire quest'ultimo dolore".
Ma sul campo vengono chiamati per primi Nicola, Lino e Renzo. Essi
salutano gli altri due: "Ci rivedremo in Cielo", poi vanno
decisi sul luogo dove avverrà l'esecuzione; saranno fucilati al
petto, in piedi. All'ufficiale che domanda loro se hanno un ultimo
desiderio da esprimere, Lino, seguìto dagli altri due risponde:
"Vorremmo stringere la mano al Comandante del plotone di esecuzione".
Egli ha pensato che per lui riceveranno il dono più bello: la felicità
del cielo. Li faccio inginocchiare e con fervore di angeli pronunciano
insieme, con un ultimo atto di contrizione seguìto dalla assoluzione
sacramentale. Sono lì davanti a loro col Crocefisso tra le
mani. I soldati procedono al bendaggio degli occhi, ma Nicola
protesta e si dimena: "Ho la moglie, io: non voglio essere bendato,
voglio vedere tutto". I soldati lo bendano ugualmente e Lino,
come assetato di sofferenza, gli dice: "Pazienza Nicola, offriamo
al Signore anche quest'ultima privazione". A un mio cenno, gli
ufficiali si consultano e concedono che vengano tolte le bende. Il
plotone è pronto: i tre lo fissano calmi ripetendo le invocazioni
che suggerisco loro. Nicola è tutto proteso verso l'alto con
gli occhi fissi al cielo, Lino e Renzo fissano i moschetti coraggiosamente.
La scarica fulminea li abbatte senza un grido: il colpo di grazia completa
il loro olocausto.
E' la volta degli altri
due. Mi reco da loro; hanno inteso la scarica, ma sono calmi.
Pregano insieme con me per i loro compagni che li hanno preceduti, poi
si avviano anch'essi. Giovanni vedendo sul posto in cui si sono fermati
il sangue dei compagni che nel frattempo erano stati chiusi nelle casse
e trasportati su un camioncino, esclama con sprezzo: "Non avevano
altro posto? Potevano almeno coprire per evitarci questa emozione".
"Coraggio" gli suggerisco io, "è un solo sacrificio,
quindi un solo sangue che si offre a Dio e alla Patria". Carmelo
è sorridente, non sembra più di questo mondo. Anch'essi
si inginocchiano e con viva fede ripetono l'ultimo atto di contrizione
e ricevono l'ultima assoluzione. All'ufficiale che li interroga non
hanno altri desideri da esprimere sulla terra. Carmelo rifiuta la
benda agli occhi, Giovanni vorrebbe essere bendato ma il coraggio del compagno
gli dà forza e rifiuta anch'egli. Mi avvicino a Carmelo e
gli dico: "Carmelo, sei davanti a Dio: hai bisogno di qualcosa per
la tua anima? Posso aiutarti ancora?" "No, padre"
mi risponde "sono contento!" Ha lo sguardo luminoso e il
volto quasi trasfigurato; rimarrà sorridente anche dopo la morte.
Sono talmente presenti di spirito che mentre i soldati inglesi si preparano
per l'esecuzione, essi li contano: "Vedi, Carmelo, sono dieci",
"Si, sono dieci". Poi mi guardano, ci salutiamo, ripetono
dinanzi al mio Crocefisso invocazioni di amore a Dio e alla Vergine, poi
la scarica. Carmelo, unico fra i cinque, non ha bisogno del colpo
di grazia: nessuna pausa tra il sorriso ultimo sulla terra e la gioia dell'amplesso
divino.
(firmato) Don Giovanni Mocata
Non credo che l'ultima lettera di Carmelo al fratello Eugenio possa
interessare; comunque posso trascrivere anche quella se utile. Ritengo,
invece, opportuno che io trascriva una poesia che mio marito Eugenio, allora
diciannovenne e in carcere, scrisse appena seppe della morte del
fratello; anche questa è scritta su carta velina e a matita.
Tutto è silenzio nelle scure celle
e le ombre gialle delle sentinelle,
anime in pena sembrano, vaganti,
a spiare sui volti dei sognanti;
e carpirne vorrebbero i misteri
che sempre temono oggi come ieri.
Temono i vivi anche segregati
e temon l'ombre dei fucilati.
Come barbari sentono il terrore
della gloria di Roma e nel furore,
spietatamente uccidono e l'alone
dei martiri li tiene in soggezione.
Nel pomeriggio pallido e dorato,
serenamente presero commiato;
ai camerati strinsero la mano
e più nulla avean d'umano.
Sole al tramonto, tu l'hai salutati,
assieme a te nell'ombra sono entrati;
quando al mattino in cella sei tornato
di quell'anime un raggio ci hai portato;
l'ultimo raggio e l'ultimo sospiro,
l'ultimo sguardo balenato in giro;
l'eco del grido estremo: Italia, Mamma!
e dei martiri novi la gran fiamma.
Nella chiesa di Dio, sopra l'altare
l'anime loro stanno a vigilare;
nella povera chiesa profanata
dalla torma di barbari assetata.
Si destano sereni i carcerati
I loro sguardi al cielo son voltati
e dal quadrato della finestrella
preoccupata spia la sentinella,
che teme che dal ciel possan calare
le legioni dei morti, a liberare
il fiore dell'Italia rinserrato
in poco spazio oscuro e malfamato.
Ognun di cielo guarda un quadratino
ch'è assai lontano e a loro sta vicino:
è il cielo della Patria e nella stanza
parla di Fede e parla di Speranza.
Tu che sei giusto, Tu che sei pietoso,
Dio, ai nostri morti da santo riposo
e fa che i vivi possan rivedere
spiegate al vento le itale Bandiere.
Quanto ho scritto è il mio piccolo contributo ad una faccia
della verità. Anche noi, ex-Italiani all'Estero ed oggi
quasi stranieri in Patria, abbiamo sofferto e patito privazioni.
I nostri uomini sono stati rinchiusi nei campi di internamento per civili
per quattro anni; molte delle nostre famiglie hanno perso tutto durante
la guerra, ma hanno lottato per ricostruire, dopo.
Se posso essere utile ancora, me lo faccia sapere.