REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA



IL I° BATTAGLIONE PARACADUTISTI DELLA GNR "MAZZARINI" L'ultima battaglia dei parà della GNR
Nino Arena
 
 
 
    Il 25 marzo cadeva a Romagnano, in un agguato, il paracadutista Fausto Bellotti, fratello di Franco morto qualche giorno prima, il 16, durante la difesa del Presidio.
    Ben più triste fu invece la vicenda che colpì dolorosamente il Cap. Magg. Attilio Cucchiar, innamoratosi, corrisposto, di una ragazza di nome Piera conosciuta durante un servizio di sorveglianza territoriale nei pressi di Gargallo.
    I due giovani si frequentarono, si fidanzarono ufficialmente intenzionati a sposarsi, pur nella difficile situazione in cui si viveva all'epoca, in quel terribile periodo, in quelle perigliose, circostanze, in quel pericoloso contesto sociale, umano, ambientale, politico.
    Un pomeriggio, mentre Attilio si stava recando a casa della fidanzata dopo aver percorso diversi km. dalla sede di normale residenza del reparto (lo faceva spesso quand'era libero dal servizio) venne fatto segno a diversi colpi di arma da fuoco; Cucchiar reagì prontamente all'agguato e i suoi assalitori si dileguarono.
 
Maggio 1944. Paracadutisti del Mazzarini
 
    Tornarono numerosi a notte nel cascinale di Piera, prelevarono con la forza la ragazza minacciando con le armi i familiari e la violentarono ripetutamente restituendola alcuni giorni più tardi in gravi condizioni fisiche e psichiche alla famiglia angosciata. 
  Ricoverata in ospedale, Piera moriva per le lesioni subite, alcuni giorni più tardi. Un delitto trasversale, degno della migliore cultura mafiosa anche se gli "uomini d'onore" forse, si sarebbero limitati, nel Sud, a rispettare la donna.
    Non fu così per gli "uomini" che, nel Nord, militavano nella "resistenza".
    Il 29 marzo moriva l'allievo paracadutista Ennio Costanzi che, comandato ad una corveé dall'albergo Centrale di Borgomanero, partiva con viveri diretto al ristorante dello Sport ma non arrivava a destinazione. La stessa sorte toccava alcuni giorni dopo all'allievo Francesco Lovato diretto ugualmente all'albergo Centrale. Scompariva senza lasciare traccia nel buio della notte alla stessa stregua di Rinotti e Costanzi. Non furono più ritrovati. Tutti questi ragazzi, imprudentemente, avevano disobbedito all'ordine di farsi scortare.
    Il mese di marzo era stato terribile per il "Mazzarini" poichè erano morti 18 paracadutisti ed altri 16 erano rimasti feriti. Un pesante bilancio di perdite incolmabili. A fine mese cadevano ancora per agguato a Vercelli i Serg. Magg. Giovanni Coddura e Sisto Germinario. Il mese di aprile sarebbe stato ancor più tragico. I primi di aprile il presidio di Romagnano veniva ceduto alla responsabilità di un altro reparto della G.N.R. e la Compagnia del "Mazzarini" si portava a Novara nella Caserma "Passalacqua", mentre avveniva una necessaria ristrutturazione territoriale con il rafforzamento nella provincia del contingente presidiato che vedeva la presenza del Btg. O.P. (Ordine Pubblico: n.d.r.) provinciale G.N.R., del Btg. d'assalto "Venezia Giulia" in Val d'Ossola, del 5a Btg. d'assalto "Pontida" nel Biellese e l'arrivo imminente in zona dei Btg. I° Controcarri, I° Granatieri, l° "Pontida" dislocati da Vercelli a Castellazzo Novarese e rinforzati da elementi G.N.R. speciali Ferroviaria, Postelegrafonica, Forestale, Stradale con 2 Compagnie G.N.R. di Frontiera. La Brigata Nera "Cristina" di Novara, rinforzata da elementi della B.N. "Lucca", controllava a Nord Est la provincia, mentre la sponda nord del Verbano risultava presidiata dai Btg. "Castagnacci" e "Scirè" della Xa Mas fra Arona e Verbania, dal 2° Btg. Genio F.C., da un Btg. LL. dell'I.M.L., dalla 1021° Cp. di Guardia Presidiaria, da reparti tedeschi del 15° Rgt. Polizei e della 29a Divisione Waffen SS "Italien".
    Il mese di aprile ebbe inizio con nuovi e pesanti attacchi aerei anglo-americani, con l'intensificarsi di mitragliamenti sulle strade, ferrovie, campagne, ponti sul Ticino e sul Sesia, stabilimenti industriali. Si intensificarono anche gli attacchi dei partigiani, aumentarono gli agguati, i prelevamenti di persone, i furti e le rapine pseudo politiche, le uccisioni isolate nelle strade di campagna e gli attentati dei GAP nelle città: il solito triste corollario di delitti che si trascinava pesantemente dietro la guerra civile....
    Le due compagnie del "Mazzarini" rimaste ancora decentrate in provincia: la 2a del Cap. Vincenzo Carrieri poi sostituito dal Ten. Alvaro Onesti e la 3a del Cap. Nereo De Barba, si riunivano a Borgomanero per irrobustire il presidio dell'importante località, crocevia del Val Sesia - Val d'Agogna, fronteggiando la situazione che si andava degenerando di giorno in giorno a causa dell'inazione politico-militare delle autorità tedesche. Aumentarono ancor più i mitragliamenti aerei, ormai anche in funzione di appoggio tattico ai partigiani, si fece ancor più difficile il servizio di controllo e di guardia che non dava tregua ai militi, si intensificarono gli attacchi ai Presidi e gli agguati.
    Il comando di battaglione riusciva comunque a mantenere i collegamenti con i Presidi, a rifornire del necessario Borgomanero, a fornire scorte a colonne logistiche per i diversi Presidi della G.N.R., facendo nel contempo ampia provvista di viveri e munizioni per ogni eventuale emergenza per tempi più calamitosi.
    Continuarono le uccisioni e i ferimenti di uomini del "Mazzarini". Il 21 aprile mentre i paracadutisti Mario Benetti e Roberto Guerrieri si trovavano in libera uscita a Borgomanero intenti a sorbire una bibita in un bar, venivano aggrediti improvvisamente alle spalle da alcuni partigiani e trucidati con raffiche di mitra, senza aver avuto il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo e di chi li stava vilmente assassinando. Si salvava dall'agguato il paracadutista Monaco che reagiva, feriva un aggressore portato poi via dai partigiani. Ferito anche il proprietario del bar.
    L'azione delittuosa e vile veniva poi definita "esemplare" nei testi della resistenza, col solito frasario bolscevico a base di "feroci aguzzini" , "torturatori efferati", "civili usati come scudo dai nazi-fascisti" e di "smembramenti di patrioti con parti anatomiche date in pasto ai cani". 
    Venivano esaltati come atti di eroismo semplici atti criminali e delinquenziali; aumentato a dismisura il numero dei nemici sia quando venivano uccisi, sia quando assalivano i patrioti (1000 sarebbero stati così i fascisti presenti a Borgomanero, rispetto ai documentati 180 elementi del "Mazzarini"), come inventato nel libro: "Il Monterosa è sceso a Milano" di Moscatelli e Secchia, noti esponenti stalinisti del PCI...
    In quel drammatico frangente che precedeva il crepuscolo tragico della RSI, i "buoni falsi borghesi" e l'infido clero del Novarese, combatterono subdolamente la loro piccola battaglia personale, strisciante, velenosa, sommersa, ingannevole, tentando di fare opera di perfido convincimento presso i singoli per spingerli ad abbandonare i reparti, cedere le anni, rifiutare di battersi, assicurando ai potenziali disertori l'appoggio della Chiesa e del C.L.N. ed ogni più ampia garanzia di salvezza fisica: una allettante prospettiva il più delle volte non rispettata ma che l'umana debolezza poteva accettare, giustificare e valutare prevaricando i dubbiosi e gli indecisi. E invece non ci furono cessioni alle lusinghe, cedimenti morali alle promesse, timori alle minacce avanzate: gli uomini del "Mazzarini" avevano fatto liberamente la loro scelta, avevano ripreso le armi per l'Onore d'Italia, non vollero rinnegare impegni personali e giuramenti vincolanti e rimasero nei ranghi.
    Il 24 aprile il CLNAI diramava l'ordine segreto di insurrezione "Aldo dice 26x1" alle formazioni ribelli della 1a zona (Biellese, Vercellese, Novarese) ordinando ai partigiani di confluire su Santhià, Vercelli e Novara mentre i nuclei GAP-SAP iniziavano nelle città le prime sparatorie per allarmare i Presidi e distogliere i comandi dai movimenti esterni che stavano realizzando i presupposti stabiliti dal piano difensivo E.27, un piano che prevedeva come contromossa una serie di movimenti e concentramenti, fra cui quello del Novarese che stabiliva due criteri di spostamento per i reparti repubblicani: A (tempestivo) B (improvviso) con concentramento di tutte le forze della RSI nel capoluogo.
    Gli attacchi preliminari che si erano manifestati a Borgomanero, Romagnano, Domodossola, Gravellona Toce avevano anticipato e svelato le intenzioni avversarie e indotto i comandi a diramare gli ordini di ripiegamento in concomitanza col ritiro dei presidi tedeschi, parte dei quali ottemperarono all'ordine mentre altri, in combutta col CLNAI, rifiutarono di eseguirlo richiudendosi nelle Caserme in vigile attesa, così come stabilito dagli accordi Wolff-Dulles con il Piano "Crossword" che prevedeva il disimpegno offensivo della Wehrmacht /Polizei con le formazioni del CLNAI.
    I ripiegamenti dei Presidi italo-tedeschi su Novara avvenirono con una certa regolarità, nonostante sporadici attacchi di formazioni ribelli e incursioni di aerei anglo-americani. 
    Sulla Statale 229 Novara - Borgomanero - Omegna - Gravellona si ritirarono i Presidi provenienti dalla Val d'Ossola, mentre sulla Statale 32-33 quelli di Verbania - Intra - Stresa - Arona comprendenti il Btg. "Venezia Giulia", i Btg. "Castagnacci" e "Scirè", la 603a Cp. del Btg. O.P. G.N.R.-Novara e reparti sfusi della G.N.R. di Frontiera, formazioni di alcune BB.NN. e i presidi tedeschi di Polizei rimasti fedeli al comando del Cap. Stamm: complessivamente circa 4800 uomini, con una cinquantina di automezzi, una decina di carri armati e autoblindo che subivano alcune azioni di disturbo dalla 109' Brg. "Garibaldi", dal Btg. "Camasco" e bande locali, mentre scendevano verso il Verbano la "Beltrami" e la 2a "Garibaldi-Redi" seguite dalla "Valgrande", dalla "Bariselli" e dalla "Flaim" che, sconfinata in Lombardia, ripiegava verso il Varesotto diretta su Tradate. Ma la robusta colonna italo-tedesca spazzava via ogni ostacolo sulla sua marcia, tanto da costringere il comando della 1a zona partigiana ad inviare di rinforzo le Brg. "Rocco" e "Servadei" su Menia e Arona e la 6' Brg. "Nello" nella zona di Cameri, nel tentativo di impedire l'afflusso a Novara dei reparti della RSI di Galliate-Bellinzago.
    Il 24 aprile alcuni parlamentari del CLN chiesero un colloquio col Cap. De Barba a Borgomanero, per trattare, dissero: "una onorevole resa del presidio" ponendo come condizioni indiscutibili: cessione delle armi, accettazione della condizione di prigionieri di guerra, cessazione di ogni atto ostile. Si trattava della solita proposta avanzata da personaggi più o meno in mala fede, subordinati ai comandi superiori, non in grado per congenita riottosità di far rispettare accordi e condizioni col rischio reale di veder invalidati da altri i patti sottoscritti e di trovarsi, ormai disarmati materialmente e moralmente, in balia di sanguinari individui ansiosi solo di vendette e di sangue. Il Cap. De Barba volle mettere al corrente i suoi paracadutisti della proposta del CLN-Borgomanero e la risposta univoca che ricevette fu la seguente: "Comandante, voi ordinate e noi come soldati ubbidiremo; ma se voi chiedete il nostro parere noi risponderemo che non cederemo le nostre armi!".
    Tale fu la risposta che giunse come una doccia fredda al CLN locale e soltanto proponendo un compromesso, fu possibile per i membri del CLN salvare la faccia garantendo lo sgombero della strada per Novara, la salvaguardia del reparto per tutto il percorso dietro consegna soltanto dell'armamento pesante: una proposta accettabile senza ulteriori spargimenti di sangue e senza perdita alcuna di dignità.
    In caso di mancato accoglimento il CLN avrebbe fatto bombardare ancora una volta la caserma dall'aviazione anglo-americana aggiungendo il tiro di mortai pesanti sull'edificio....
    L'ultimatum del CLN venne seguito da alcuni movimenti di formazioni partigiane fra cui la Brg. 118a "Servadei", la 124a "Prinetti", la 84a "Mustacchi" con la 6a "Nello" di riserva: complessivamente 1080 ribelli di cui 430 per il primo attacco e il resto come riserva e controllo territoriale, anche se a Borgomanero non venne, combattuta alcuna battaglia poichè il presidio si ritirò regolarmente a bordo di automezzi inviati dal comando di battaglione, raggiungendo Novara senza ulteriori problemi nella giornata del 25.
    Lo stesso giorno del rientro dei presidi della Valsesia, era stato ucciso a Novara il Serg. Giuseppe Ventura mentre in motocarrozzetta assieme al fratello Serg. Magg. Savino stava recandosi alla Banca d'Italia per prelevare i fondi di battaglione. Fatti segno a raffiche di mitra, rimaneva gravemente ferito Giuseppe, che trasportato morente all'infermeria della "Passalacqua", moriva subito dopo l'arrivo in caserma fra le braccia del fratello Savino....
    La situazione diveniva di ora in ora sempre più difficile, caotica per mancanza di collegamenti e notizie attendibili, mentre aumentavano le segnalazioni di attacchi avvertiti un pò dovunque, con notizie preoccupanti per l'avanzata degli anglo-americani nella valle del Po. La conclusione di tutte queste vicende fu l'impostazione in loco di un piano difensivo autonomo, a protezione del capoluogo, per affidare ad un unico responsabile il comando della città, e creare un fulcro di aggregazione e riferimento per i vari reparti che affluivano dalla Provincia.
    Il Comandante provinciale G.N.R. Col. Mariotti, affidò al "Mazzarini" il compito di appoggiare e proteggere l'avvicinamento dei reparti italo-tedeschi provenienti dalla Statale 32 del Verbano e di controllare le località viciniori di Trecate e Galliate nell'ipotesi, non improbabile, di dover proseguire successivamente la marcia verso Milano delle FF.AA. repubblicane del Vercellese-Novarese, dirette verso la Valtellina.
    Ma subito il piccolo distaccamento di Trecate venne attaccato da forze preponderanti e costretto alla resa. Moriva il S. Ten. Roberto Bianchi, catturato assieme ad alcuni paracadutisti nei pressi della località, e fucilato il 27 aprile con i suoi 18 uomini, i cui nomi rimasero ignoti. Lo stesso giorno, durante alcuni scontri a difesa di Vercelli, morivano il Serg. Magg. Ballabio e il paracadutista Franco Albertini. Il primo non aveva fatto in tempo a raggiungere Novara con le munizioni che aveva prelevato; il secondo, ferito a Romagnano Sesia nel combattimento del 16 marzo e ricoverato all'Ospedale Militare di Vercelli, era stato brutalmente scacciato dal nosocomio da gruppi di partigiani che avevano invaso l'ospedale, gettato senza ritegno alcuno con gli altri degenti feriti sul greto del torrente Roggia antistante e lì ucciso Spietatamente con gli altri militari feriti....
    Il 29 aprile giungeva a Novara la notizia della morte di Mussolini a sconvolgere ancor più il morale dei difensori, mentre il CLN raddoppiava gli sforzi per giungere alla resa, approfittando dello stato di depressione morale dei soldati della RSI e di mancanza di ordini.
    Fu necessario ancora una volta superare fieramente ogni avversità ed agire di conseguenza. Consistenti reparti della RSI si trincerarono a Castellazzo Novarese resistendo tutto il 29 aprile, allorchè conclusero un accordo di resa col CLN: si trattava di circa 1700 militari dei Btg. G.N.R. "Pontida" e "Granatieri", dei Btg. Complementi delle Div. "Italia" e "Monterosa", di militari della "Muti" e della B.N. "Cristina" assieme a familiari che avevano seguito la ritirata (circa 500 civili). Il CLN/CVL completava il giorno 30 l'accerchiamento di Novara bloccando le Statali 229, 32, 11, 211, 341, intimando la resa del Presidio della città, che aveva in parte alleggerito il suo contingente dopo la partenza delle autorità civili e di alcuni reparti militari diretti verso Legnano, Saronno, Corno. Rimaneva ancora libera per un certo tempo l'autostrada Torino-Milano, anche se il tentativo di una colonna tedesca di superare lo sbarramento falliva col rientro in città del reparto. Ma falliva ugualmente, in campo opposto, il tentativo di esponenti del CLN di ottenere la resa del "Mazzarini": proposta che veniva respinta dal Cap. Bovone mentre andava invece in porto un accordo fra CLN e tedeschi, curato da esponenti antifascisti con il Col. Hann, Comandante del presidio tedesco, assistito e confortato nelle sue decisioni dal Col. Buck del 15° Rgt. Polizei, affluito nel frattempo a Novara dal Vercellese con una colonna mista italo-tedesca. Alcuni comandanti tedeschi rifiutarono però ogni tentativo di accordi con i partigiani, decisi ad arrendersi agli angloamericani ormai dilaganti nella pianura padana, e si dichiararono solidali con i comandanti italiani offrendo collaborazione, garanzie morali, personali e operative.
    Una più numerosa e agguerrita colonna tedesca riusciva il giorno 30 aprile a superare a Santhià lo sbarramento partigiano sull'autostrada (12a e 182a "Garibaldi"), deviava per Rho, si batteva a Legnano sgomberando la strada dai partigiani ed ottenuto un accordo col CLN locale proseguiva verso il confine svizzero. Contemporaneamente il grosso delle formazioni garibaldine del Novarese (circa 5000 comunisti) al comando di Moscatelli, evitava Vercelli e Novara ancora presidiate dalle truppe della RSI e puntava su Milano via Busto Arsizio, sguarnendo in tal modo l'assedio a Novara nell'intento di raggiungere un risultato eclatante da un punto di vista politico anche se demagogico sotto il profilo operativo.
    Ne approfittavano i reparti italo-tedeschi provenienti dalla Val d'Ossola, che si spingevano verso Novara in cui si era instaurata una situazione di stallo col presidio tedesco (circa 3000 militari con mezzi corazzati) rimasto neutrale, ed oltre un migliaio di militari della RSI. La "non belligeranza" dei tedeschi, così come contemplata dal piano "Sunrise" siglato a Caserta dai rappresentanti tedeschi del Gruppo d'Armate C e gli anglo-americani del 15° Gruppo d'Armate, stabiliva di non attaccare le formazioni del CLN se non per difesa: un vero e proprio tradimento per la RSI, di cui Mussolini era venuto a conoscenza a Milano mentre si trovava nell'Arcivescovado a colloquio con i responsabili del CLNAI, con la conseguenza che i reparti della RSI non avrebbero potuto più contare sull'appoggio delle FF.AA. germaniche anche se per semplice difesa. Le minacce di morte formulate dal CLN novarese, in cui militava l'attuale Presidente della Repubblica, in caso di rifiuto della resa, aggravavano psicologicamente la già difficile situazione, considerando che talune minacce, come il bombardamento delle caserme novaresi, aveva già avuto il giorno 27 un primo avvertimento con un attacco dimostrativo di caccia-bombardieri che mitragliavano le Caserme "Passalacqua" e "Cavalli" nonostante il vivace tiro difensivo delle armi automatiche. Pochi i danni e soltanto un piccolo incendio prontamente domato. Lo stesso giorno, singolarmente, il comando Platz-Kommandantur Novara (MK 1021) iniziava trattative col CLN suscitando fermento e contestazione fra i reparti italo-tedeschi dissenzienti che disponevano ancora di 14 mezzi corazzati e 6 autoblindo.
    Il 29 aprile il Cap. Bovone parlò ai suoi paracadutisti invitandoli a reagire allo stato di prostrazione causato dalla morte del Duce e dalla precaria situazione: li incitò a continuare a fare il loro dovere, a mantenere la calma, a superare con virile fermezza ogni avversità, presente e futura.
    Nel frattempo la marcia della colonna italo-tedesca proveniente dal Verbáno sulla Statale 32 proseguiva lentamente ma sicuramente, contrastando con le armi la 109a "Garibaldi" e il Btg. "Camasco" e, spazzando via ogni ostacolo, concludeva il giorno 30 la sua marcia con l'arrivo a Novara dei circa 2500 militari italiani e tedeschi che la componevano. Il Btg. "Venezia Giulia" si riuniva al "Mazzarini" nella Caserma "Passalacqua". Lo stesso giorno comunicati radio e migliaia di manifestini lanciati da aerei, rendevano nota la cessazione delle ostilità da parte delle FF.AA. della RSI con l'avvenuta resa al 4° Corpus USA (Gen. Tritemimere) del Gruppo d'Armate "Liguria" del maresciallo Graziani. La garanzia del nemico che i soldati repubblicani sarebbero stati considerati a tutti gli effetti giuridici prigionieri di guerra, dava un maggiore senso di sicurezza a tutti i combattenti della RSI ormai decisi a consegnarsi come prigionieri solo agli anglo-americani.
    Si trattava di resistere ancora pochi giorni rifiutando ogni ulteriore possibilità di resa al CLN, che non avrebbe mai potuto garantire in maniera affidabile e accettabile la sicurezza di coloro che si consegnavano disarmati nelle mani dei partigiani.
    In quei drammatici frangenti veniva impartito l'ordine di bruciare e distruggere tutti i documenti del reparto, eseguito dal S. Ten. De Nardo con l'aiuto di alcuni uomini.
    Stessa sorte toccò alla Bandiera del Battaglione, bruciata fra la più grande commozione e con l'onore delle armi. Nel pomeriggio del 1° maggio giungevano a Novara le avanguardie della 34a Div. Fanteria USA "Red bull" che prendevano contatto dapprima col comando Presidio, stabilendo con il Col. Hann prima e poi con il Col. Mariotti, le modalità di resa così come concordato a Castiglione delle Stiviere dal Gen. Pemzell Capo di SM della "Liguria". I soldati repubblicani venivano considerati "prigionieri sulla parola", una clausola che lasciava ai militari della RSI l'armamento leggero e la possibilità di difendersi se attaccati da parte di "gruppi ostili (leggasi partigiani): uno smacco cocente per il CLN anche se le formazioni partigiane "si schierarono fra Romagnano e Carpignano-Biandrate, per bloccare eventuali infiltrazioni di reparti "fascisti" segnalati fra Salussola e Cavaglià; una remota eventualità considerando oggettivamente che i suddetti reparti si erano posti sulla difensiva a Buronzo decisi a consegnarsi soltanto agli anglo-americani.
    Ancora il 2 maggio, a dimostrare la vulnerabilità dello schieramento messo in atto dal CLN, il 2° Btg. paracadutisti "Nembo" proveniente dalla Val d'Aosta, penetrò indisturbato in Val Sesia giungendo sino a Gattinara, ripiegando poi a Rovesenda e in quella zona consegnandosi agli americani della 34a Divisione.
    Il l° maggio alle ore 22, avvenne la consegna delle armi nelle caserme novaresi con un protocollo formale e corretto come si addice a militari, con dignità e disciplina, alla presenza dei rappresentanti delle FF.AA. statunitensi: nella circostanza, il Cap. Pio Carlo Bovone dichiarò disciolto fra la commozione dei presenti il l° Btg. paracadutisti della G.N.R. "Antonio Mazzarini". Lo stesso giorno moriva a Novara il paracadutista Walter Contardi, assassinato a tradimento dai partigiani, e il 3 maggio venivano messi a morte a Vercelli i paracadutisti Luigi Bracco, Ivo Gei e Teodoro Gignone, ultimi Caduti del battaglione.
    Il 2 maggio i militari della RSI della zona di Vercelli e Novara venivano avviati con autocolonne nei campi di prigionia della Toscana.
    Si concludeva tristemente, fra i reticolati di un campo di concentramento alleato, la storia del "Mazzarini": il battaglione paracadutisti della G.N.R.
 
 
STORIA DEL XX SECOLO N. 4. Agosto 1995. C.D.L. Edizioni srl (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI L'Editore desidera ringraziare vivamente le "Edizioni Istituto Storico RSI" per avergli gentilmente concesso la pubblicazione del presente brano.

DOMUS