RECENSIONI DI LIBRI SULLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA - 2002

 
    Tema di queste recensioni è la Repubblica Sociale Italiana. Le recensioni, inizialmente riprese soprattutto dal mensile NUOVO FRONTE di Trieste, sono poi state integrate anche con altre di diversa fonte, ivi compresa -talvolta- le presentazioni di copertina. Quando si è potuto abbiamo aggiunto le immagini delle copertine e queste sono state proposte, in attesa di recensione che non abbiamo, anche per libri che a nostro avviso potevano rientrare in questo soggetto.
    Si fa presente che il criterio di scelta è stato molto ampio. Talvolta trattasi anche di libri che trattano solo marginalmentre di RSI  (per esempio: foibe etc.) o di argomenti che, per vicende storiche, in qualche modo sono con la RSI connessi (per esempio: novità importanti anche sul ventennio fascista.
    Si sta cercando di associare ad ogni titolo le notizie presenti nel CATALOGO IN RETE OPAC che copre tutte, quasi tutte, le biblioteche d'Italia. Questo permetterà ai lettori di conoscere la più vicina ubicazione accessibile della pubblicazione.
    Nel corso di tale integrazione abbiamo ritenuto di segnalare anche i titoli che risultavano presenti in OPAC al Soggetto: "Repubblica Sociale Italiana".
    L'ordine temporale di presentazione dei libri è quello di edizione basato sul Catalogo OPAC. Se è presente più di una registrazione in OPAC le abbiamo presentate tutte per non omettere ogni possibile ubicazione. Se le registrazioni risultano in anni diversi abbiamo collocato il titolo (eventuale recensione ed eventuale copertina) nell'anno di edizione più datata, lasciando accanto anche altre registrazioni più recenti (forse quest'ultimo criterio sarà in futuro corretto).
    Poichè molti titoli sono sprovvisti di recensione saremo grati al lettore che vorrà collaborare inviandoci eventuale recensione di terzi (completa di fonte) o anche propria recensione accompagnando l'invio con proprio nome o pseudonimo.
ULTERIORI TITOLI SI POSSONO OTTENERE RICERCANDO IN OPAC CON LE PAROLE REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA OPPURE CON LE PAROLE 1943-1945 (O ALTRO) NEL CAMPO "TUTTI I CAMPI". SE SI VOGLIONO I TITOLI COMPLETI USARE LA VARIANTE SUTROS INVECE CHE ISBD.                  

 
 
 
Aa. Vv. I CADUTI DIMENTICATI 1919-1924 Introduzione di Ernesto Zucconi. In appendice 32 pagine a colori sul futurismo
392 pagine - cm 17,5 x 25, € 24,00 
Pinerolo: NovAntico, 2002 
Una storia dimenticata della Rivoluzione Fascista: i caduti antecedenti alla marcia su Roma e quelli dei Fasci italiani all’estero, la loro storia con le foto d’epoca. Il testo è introdotto da un lungo saggio di Ernesto Zucconi sulla nascita del Fascismo e i suoi rapporti con il futurismo. In appendice 32 pagine a colori di opere futuriste.
Occhi Roberto SIAM FATTI COSI'!: storia della legione mobile "Ettore Muti"
Milano : Ritter, stampa 2002, 240 pagine - 412 Fotografie   4 tavole  a colori fuori testo  Euro 40,00 
Zucconi Ernesto (a cura di) REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA. I MANIFESTI
Ritter 2002 
 
 
Castellacci Mario VIVA L'ITALIA 
Carta e penna Editore 2002
Giacinto Auriti IL PAESE DELL'UTOPIA La risposta alle cinque domande di Ezra Pound
Presentazione di Marino Solfanelli. Tabula fati, Chieti 2002
"Sono un contadino che ha fatto per hobby il professore d’università". Giacinto Auriti
Ezra Loomis Pound (Hailey, Idaho, 1885 - Venezia 1972) e Giacinto Auriti (Guardiagrele 1923), il Poeta e il Giurista contadino. L’americano — che sceglie l’Italia come patria di adozione — e l’italiano d’Abruzzo. Personaggi apparentemente diversi, per origine e cultura, ma uniti da un legame indissolubile: la ricerca della verità a tutti i costi.
Ezra Pound, il Poeta americano affascinato dalla cultura europea, dal Medio Evo di "Padre Dante", in cui scopre una realtà universale da cui trarrà l’ispirazione per i "Canti Pisani" (poema che scrive durante la sua prigionia nel campo di concentramento americano di Coltano, in provincia di Pisa, ove venne rinchiuso in una gabbia). È il prezzo che gli fu imposto di pagare proprio per aver amato l’Italia e osservato con interesse il risveglio dell’Europa.
Il Poeta sentiva l’esigenza di un rinnovamento che non si limitasse ad una sterile esercitazione retorica di gioventù, ma che costituisse le basi di una vita vissuta e non vegetata: quindi pulizia interiore, eliminazione dei falsi miti delle ideologie surrogati degli ideali: «Finché non hai chiarito il tuo pensiero dentro di te stesso, non puoi comunicarlo ad altri. / Finché non hai messo de l’ordine dentro di te stesso, non puoi essere elemento d’ordine nel partito.»
Giacinto Auriti, elabora una nuova teoria filosofica sul giudizio di valore "come rapporto tra fasi di tempo" che lo condurrà alla scoperta del "valore indotto" della moneta.
I due personaggi, che non si sono mai incontrati, sono uniti da una profezia contenuta nei versi 101-102 dell’Inferno, ove il poeta, dopo aver parlato della lupa che gli aveva impedito il cammino, annunciava la venuta di un Veltro "che la farà morir con doglia". La "lupa" per Pound è l’usurocrazia, contro la quale lotta per una nuova concezione di vita. Lavoro ed usura è il titolo di una raccolta di saggi scritti dopo la seconda guerra mondiale, sul frontespizio si legge: "Bellum cano perenne, tra l’usura e l’uomo che vuol fare un buon lavoro". Pound ha capito che la moneta non è una merce ma l’espressione di un accordo, di una convenzione, per cui il credito deve essere affidato non già alle banche ma allo Stato, che lo garantisce con l’onestà ed il lavoro dei suoi cittadini: «Il tesoro di una nazione è la sua onestà.» E nei "Cantos" esprime il suo pensiero sull’usura: «Con usura nessuno ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / per istoriarne la facciata, / (…) / Carogne crapulano / ospiti d’usura.» (Contro l’usura, Canto XLV)
Ezra Pound pone cinque domande alle quali non aveva mai risposto nessuno: moneta, credito, interesse, usura e circolazione; Giacinto Auriti dà, in questo saggio, risposte precise. Una continuità ideale che li unisce nella scuola degli economisti eretici. "Chi crea il valore della moneta — dice Giacinto Auriti — non è chi la stampa ma il popolo che l’accetta come mezzo di pagamento", sono però i banchieri, i grandi usurai, che si appropriano del valore monetario, usandolo come strumento di dominazione ed imponendo all’umanità il signoraggio del debito. Ed ecco allora la geniale soluzione del problema: La proprietà popolare della moneta, che restituisca al popolo il maltolto dei valori monetari che esso crea. L’auspicio è che siano i governi a gestire l’emissione monetaria ed a ripartire gli utili, come diritto di cittadinanza, a tutti i cittadini.
I due studiosi, il Poeta americano, nato da genitori quaccheri e puritani, e il Giurista abruzzese, tradizionalista e cattolico, sono entrambi gratuitamente osteggiati dal culturame di moda, plagiato nell’accezione mistificante dei signori dell’usura. Ezra Pound, a nostro parere, non si distacca mai sentimentalmente dall’America contadina, ma è affascinato dalla forza creativa ed innovatrice della guerra del sangue contro l’oro, che crea nuove fiorenti città ove prima allignava malaria, pestilenza e morte. 
Tra i tanti cultori delle teorie di Auriti vi sono anche uomini di sinistra, che in virtù di quelle teorie cominciano a sperare in un avvenire affrancato dal signoraggio della grande usura. 
Come lo stesso Auriti ricorda, in Lavoro e usura Pound scrive: «Il dieci Settembre scorso passai lungo la Via Salaria oltre Fara Sabina e dopo un certo tempo entrai nella repubblica dell’Utopia, un paese placido giacente fuori dalla geografia presente.» In nota Pound soggiunge: «Io avevo scritto: "Utopia, un paese placido giacente ottant'anni a Est di Fara Sabina".»
Poiché in questa frase coincidono una dimensione spaziale ed una temporale, va posto in evidenza che ad Est di Fara Sabina è nato a Guardiagrele il SIMEC, definito dai monetaristi come moneta poundiana, proprietà del portatore (e non della banca), ottant'anni dopo la nascita del Fascismo (1921-22). E Guardiagrele sta ad Est di Fara Sabina. La profezia di Pound si è puntualmente verificata. Potrebbe essere il segnale della rivincita del sangue contro l’oro.
A margine del Simec è riportata un’antica frase della saggezza abruzzese: "Non bene pro toto libertas venditur auro" (Non è bene vendersi la libertà per tutto l’oro del mondo) che riecheggia l’insegnamento di Pound: «Il tesoro di una nazione è la sua onestà.»
Si può cominciare a sperare…
Marino Solfanelli 
Bergna Norberto LA MEMORIA DIMENTICATA. Storie mai scritte della guerra civile 1943-1945 in Brianza.
2002. A cura dell’Associazione Culturale MADM-BRIANZA VIVA, Norberto Bergna – Via Magenta 25 , 20038 Seregno (MI), Pag. 214
In questo libro si parla di morti scomode, di "morti ammazzati", di esseri umani con le loro storie di tutti i giorni le cui vite furono travolte e spezzate dai tragici fatti avvenuti a Seregno e dintorni durante la guerra civile, dal 1943 al 1945. A onor del vero, gli atti di follia omicida non si limitarono solamente a quel periodo ma si protrassero ancora per alcuni anni, tant'è che fu cenessaria l'amnistia Togliatti per sanare i numerosi eccessi di furia bestiale perpetrati nei confronti di fascisti o presunti tali. La guerra civile e la barbara carneficina che seguì la sua conclusione, dovrebbero costituiore un grande lutto per tutto il popolo italiano. Per oltre mezzo secolo, il ricordo di questi italiani e l'olocausto da essi subito sono stati relegati in una sorta di dimenticatotio perchè appartenenti allo schieramento dei "vinti".
Per coloro che, combattendo per un ideale, furono sconfitti, non fu sufficiente perire, dovevano essere disprezzati dai "vincitori" al punto da essere discriminati anche da morti. Per tanti altri che invece non morirono in battaglia, ma a guerra abbondantemente finita furono ugualmente privati della vita con esecuzioni sommarie senza neanche una parvenza di processo, ai loro familiari, oltre all'oltraggio, toccò la beffa della legittimazione dell'omicidio dei propri congiunti.
Questo libro vuole essere solo un contributo per portare alla luce una verità che, pur costituendo una corposa parte della "memoria" di seregno, viene regolarmente stravolta, omessa, sottaciuta... dimenticata.
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Sono passati circa sessant’anni ed ancora, nella società italiana, permane uno strato sottile di paura che non permette di compiere un’analisi obiettiva degli avvenimenti della guerra civile.
Genitori, parenti, figli, hanno mantenuto nel profondo del cuore i fatti che riguardavano la morte dei propri cari, come una vergogna che produceva ostracismo ed isolamento, tante sono state le angherie cui furono sottoposti perché legati ad un fascista ucciso.
L’operazione terroristica, condotta dalle bande comuniste, è stata così capillare che molti, anche alle domande meno compromettenti si rifutano di rispondere. Per tutti gli anni, di quest’interminabile dopo guerra, le regioni più "rosse’’ sono state quelle dove più alto è stato il numero dei crimini delle suddette bande che continuarono ad uccidere borghesi, preti e fascisti per almeno due anni dopo il termine della guerra.
Il coraggio di Autori come Norberto Bergna, deve essere posto in risalto aiutando la diffusione delle opere presentate.,
Da un’analisi della personalità degli assassinati durante la guerra civile (e dopo) emerge in tutta evidenza che si tratta di cittadini di modesta condizione economica, piccoli borghesi ed operai che avevano aderito al fascismo per una profonda fede di rinnovamento dell’Italia. Sono padri di famiglia, studenti, giovani alla ricerca di un inserimento nel lavoro, quasi tutti ex combattenti ma senza macchia alcuna, sempre pronti a dare una mano. Furono vittime della follia omicida di un’ideologia barbara, che ottiene il successo eliminando fisicamente l’avversario. Alcuni furono uccisi per meschine vendette personali.
Sono vite parallele in un Seregno dove tutti si conoscono e si cerca di coprire i delitti con il mistero delle operazioni di morte, che finiscono spesso con l’occultamento dei corpi.
Perché tanta ferocia barbara, verso persone come noi, per la diversità delle idee, per vendette verso crimini personali subiti? Nulla di tutto questo: deve essere spianata la strada al comunismo ed anche un operaio non comunista è un ostacolo da eliminare. Leggendo il testo è come dare vita a quei poveri martiri, è un omaggio alle famiglie che hanno patito per la sorte del loro caro, è un’esortazione, nei confronti di coloro che tendono all’oblio, a parlare senza paura perché un giorno un Presidente della Repubblica si ricordi dei Caduti della RSI.
I luoghi ove deporre un fiore non mancano.
NUOVO FRONTE N. 227 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
 
 
 
Giorgio Cosmacini LA STAGIONE DI UNA FINE
ASEFI editore. I Edizione maggio 2002 - Pag. 88 - € 11 - ISBN 88-86818-83-1
 
Le vicende vissute da un ragazzo nell'età incerta dai 12 ai 14 anni. Il tempo: gli anni dal 1943 al 1945. Il luogo. un paese prealpino vicino al confine svizzero. L'azione: i fatti che fanno da cornice a un triplice omicidio, avvenuto il 4 novembre 1944. La stagione di una fine racconta una fine triplice: della guerra, della dittatura, dell'adolescenza. Prelude alla stagione di un triplice inizio: della pace, della democrazia, della giovinezza. E' una storia vera, la storia di un ragazzo che compie, a modo suo, "il breve viaggio attraverso il fascismo". Un libro breve, che si legge in due ore. 
L'autore:  Giorgio Cosmacini (Milano 1931) è medico, laureato in filosofia. E' stato primo radiologo nell'Istituto Scientifico Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Insegna storia della sanità nella facoltà di lettere e filosofia dell'università degli Studi di Milano e storia della medicina nella facoltà di medicina e chirurgia dell'Università Vita-Salute dell'Ospedale S. Raffele di Milano.
E' autore di molti libri, pubblicati dagli editori Laterza, Einaudi, Cortina, Rizzoli, Le Monnier. Fa parte del comitato scientifico di numerose riviste di cultura. E' collaboratore continuativo della "terza pagina" del "Corriere della Sera". 
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FASCISTI E PARTIGIANI: I GIORNI DELLA PIETA'
Giorgio Cosmacini, primario radiologo del Policlinico di Milano, è noto al pubblico dei lettori appassionati di storia per i suoi numerosi scritti, di carattere scientifico e divulgativo, nell'ambito della storia della medicina, materia di cui è anche apprezzato docente universitario.
In fondo, questo agile volumetto di meno di 100 pagine (La stagione di una fine) è anch'esso un libro di storia, ma contemporaneamente testimonianza autobiografica, racconto di formazione e molte altre cose ancora. E' la narrazione agile e vivace, sul filo della memoria e in terza persona, delle vicende cui l'adolescente Giorgio si trova ad assistere, dopo esser sfollato con la famiglia a Ramponio, in Val d'Intelvi, a seguito dei bombardamenti su Milano del febbraio 1943.
Se vogliamo trovare un tratto che accomuna questi ricordi è sicuramente quello della pietà, anche se questa parola non viene mai usata da Cosmacini. Pietà verso tutti i morti degli ultimi mesi della guerra, morti per i più diversi motivi, per convinzioni ideali, ma anche, spesso, per essersi trovati più o meno casualmente, dalla parte sbagliata o nel momento sbagliato. D'altra parte, questo atteggiamento di comprensione umana non diventa mai motivo, in nessuna pagina del libro, per indulgere ad una qualsiasi tentazione "revisionistica": Cosmacini, da storico e, direi quasi da medico, mostra di conoscere bene la differenza che passa tra la soggettività di un'esperienza vissuta (di un sintomo...) e l'oggettività della realtà storica (di una malattia...).
Mentre il fratello Aldo aderisce alla Repubblica sociale, non tanto per convinzione, ma per non separarsi dalla ragazza e temendo rappresaglie per i familiari, Giorgio si avvicina, a poco a poco e confusamente, agli ideali di Giustizia e Libertà. grazie anche ai discorsi che sente fare in casa dal padre, architetto e antifascista.
Ma la vera svolta, nella crescita di Giorgio, è costituita dai vari incontri con la morte, così "banalmente" frequenti in quei mesi di guerra civile: dai tre poveri morti, uccisi al bivio di Lanzo da un giovane milite della Decima Mas (senza però essere partigiani), alla trappola tesa a Lenno al capitano Ricci, un ufficiale genovese trentenne che, sorpreso dall'armistizio dell'8 settembre a Cantù, anziché consegnarsi ai tedeschi, aveva guidato la propria compagnia verso il lago di Lugano per combattere i nazifascisti, fino all'uccisione di sei giovani partigiani, avvenuta il 21 gennaio 1945 nel cimitero di Cima di Porlezza.
Così pure sono decisivi gli incontri, nella maturazione di "un giovane idealista di 14 anni", che ascolta Radio Londra, dissotterra la pistola del padre e viene sospeso da scuola, con personaggi umanamente assai diversi tra loro, come la coppia di attori, belli e dannati, Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, destinati a perire tragicamente negli ultimi giorni della Repubblica di Salò e don Carlo Scacchi, il parroco antifascista di Ramponio.
Proprio Don Carlo era stato uno dei presenti al "giuramento di San Pancrazio" con il quale i firmatari si impegnavano, su un testo steso dal capitano Ricci, ad impegnare tutte le proprie energie morali e materiali "per il risorgimento di uno Stato di libertà e giustizia", dando così avvio, il 14 dicembre 1943, alla Resistenza in Val d'Intelvi.
Saranno gli stessi firmatari del "giuramento" a promuovere, il 24 aprile 1945, l'insurrezione a Ramponio. Il "comitato rivoluzionario" è guidato da Emilio Bolla che scrive, temendo per la propria vita, un testamento morale, riportato da Cosmacini in una delle pagine (umanamente, ma anche come testimonianza di cosa sia stata la Resistenza e di quali ideali, talvolta confusi, ma generosi e sinceri, fossero nutriti gli uomini che vi hanno partecipato) più belle del libro: "Sono nullatenente e me ne vanto. Ho avuto n. 6 figli e mi considero fortunato. Credo d'esser nato Libertario e tutto lo fa presumere. Ho 48 anni e mi ritengo umanitario. Sono religioso e sento la fede (...). Lavorai a dipendenza altrui disinteressandomi del salario ma facendo rispettare i miei diritti (...). Fui segnato rosso nei libri neri; mandato all'ospedale una volta e rinchiuso più volte (...). Ora sono il capo del Comitato Nazionale Liberazione di questo Comune e non ci tengo. Desidero servire la Russia rossa e farò tutto quello che le mie forze mi permettono per essere utile. Mi considero italiano".
La guerra è finita: giunge la notizia della morte di Mussolini ("Povero duce", commenta la madre di Giorgio, "Giustizia è fatta", conclude suo padre) e di un amico dello stesso Giorgio, recatosi a Milano alla vigilia della liberazione "a difendere la patria", trovandovi invece la morte, davanti a un plotone d'esecuzione in una strada di periferia. Giorgio può tornare finalmente a casa, a Milano, a una vita "normale", alla medietas, alla medicina, all'arte della cura e della giusta misura, di cui l'autore-Giorgio tesse l'elogio nell'epilogo, ancora una volta nella dimensione della memoria.
Giovanni Scirocco - (La Provincia di Como, luglio 2002)  
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LA STAGIONE DI UNA FINE : 1943-1945
Ho letto con interesse il libro di Cosmacini, che mi ha restituito, con verità, figure, esperienze, atmosfere di quegli anni..
Giuseppe Pontiggia - Il libro del giorno
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COSMACINI, MEMORIE D'INFANZIA E DI GUERRA
Nella vita di ogni uomo arriva ad un certo punto la stagione della memoria: quando la maturità cede alle nostalgie e si ripercorre la strada che proustianamente si definisce alla ricerca del tempo perduto. La ripercorre, in questo suo piccolo libro di ricordi, anche Giorgio Cosmacini, di cui sono noti gli importanti saggi di storia della medicina e che qui asseconda invece la sua naturale vena di narratore dalla prosa fluida ed elegante. In un giorno d'estate Cosmacini torna in macchina sui luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza, mai dimenticati ed ora quasi casualmente ritrovati, con un senso di sorpresa spesso sconfinante nella malinconia. I luoghi sono quelli limitrofi al lago di Como dove sfollò durante la guerra e le vicende sono quelle familiari, le sue personali di ragazzo posto brutalmente di fronte alle divisioni e ai dolori del tempo, e quelle di un fratello amato che aveva fatto scelte diverse per spensieratezza o per obbligo e che tuttavia restava al centro dei suoi affetti. Un viaggio raccontato con grazia, tra case e strade trasformate negli anni o addirittura sparite, eppure subito nuovamente presenti nella memoria come allora; personaggi scomparsi ma improvvisamente risuscitati dalle coincidenze occasionali; qua e là il ritorno delle care immagini paterne e materne; il riaffiorare della visione angosciosa di corpi insanguinati sulle strade dei paesi, vittime della violenza fascista; infine la scoperta del significato della resistenza. Un viaggio che si trasforma in una biografia esistenziale ed ecco la scuola, la grande giornata del 1937 con la visita del principe Umberto e proprio lui, il piccolo Cosmacini, è delegato a declamare sull'attenti, in divisa da marinaretto, il saluto alla "Altezza Reale e Imperiale"... La vacanza di quegli anni lontani si concluse con il ritorno in città alla fine della guerra e con un pensiero ai morti di allora che "da vivi, erano stati brava gente, che avrebbe potuto, dovuto e voluto vivere nell'Italia di domani".
Silvio Bertoldi - (Il Corriere della Sera, giovedì 13 giugno 2002)
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L'ADOLESCENZA INTELVESE DI GIORGIO COSMACINI
Giorgio Cosmacini è uno dei più autorevoli storici italiani della medicina. Laureato in medicina e in filosofia, insegna Storia della sanità alla facoltà di Lettere della Statale di Milano e collabora alle pagine culturali del Corriere della Sera.
Nel recente volume La stagione di una fine - 1943-1945 racconta con penna particolarmente felice gli episodi della sua adolescenza legati al territorio lariano e in particolare alla Valle Intelvi. Un racconto in terza persona vissuto con lo sguardo di un ragazzo che va alla scoperta del mondo.
Attraverso la lente della memoria, vengono così rievocati momenti tragici ma anche di speranza, trascorsi nei periodi bui della dittatura fascista.
La famiglia Cosmacini scelse Ramponio-Verna come luogo di sfollamento durante la guerra. Tra i numerosi episodi intelvesi, l'incontro del giovane Giorgio con colui che considerava il suo eroe, il capitano Ugo Ricci, ufficiale genovese trentenne che, sorpreso dall'armistizio dell'8 settembre a Cantù, anziché consegnarsi ai tedeschi aveva guidato la propria compagnia verso il Ceresio e, tra Osteno e Porlezza, aveva sciolto il suo reparto. Scegliendo poi di restare in Italia a combattere i nazifascisti. Morì, Ricci, "in un'azione che aveva lo scopo, fallito, di catturare il ministro dell'Interno di Salò, Buffarini Guidi".
Ma a Lanzo d'Intelvi, in quegli anni c'erano anche gli attori Osvaldo Valenti e la sua amante Luisa Ferida, i divi del cinema di regime poi fucilati dai partigiani con l'accusa di aver collaborato con i fascisti.
Particolarmente intensa, nel libro di Cosmacini, è la rievocazione di un fugace incontro con la Ferida e il suo compagno nei pressi di Caslè, "la bolla d'acqua in cima al Pinzernone, da dove si domina la parte di lago che sta davanti a Lugano". "Fu allora - prosegue l'autore - che vide uscire dalla pineta, infagottata nel cappotto scuro stretto in vita, Luisa Ferida, stupenda, appesa al braccio di un bell'uomo, vestito in borghese, pallidissimo in viso, dall'aspetto spettrale". "Ciao bello, gli disse la donna incrociandolo. Gli sembrò di sognare".
Lorenzo Morandotti - (Il Corriere di Como - domenica 2 giugno 2002)
Alberto Politi I LEGIONARI DI IMPERIA Storia della 33° Legione M.V.S.N. "A. Gandolfo’’ Aggiornamento Caduti R.S.I. Imperia e Provincia 19431945
2002. LUX 19221945 NovAntico Editrice C.P. 28 Pinerolo Tel. 335/5655208
L’Autore è un appassionato di storia locale ed ha al Suo attivo altre pubblicazioni di carattere storico.
Con ostinata sagacia ha saputo ricostruire le vicende della 33° Legione che sono quelle della M.V.S.N. nella Provincia di Imperia.
La MVSN nasce da una precisa esigenza del Fascismo di inquadrare le formazioni squadriste, dopo l’ascesa al Governo di Mussolini, contribuendo a ristabilire la pace interna, dando sbocco alle necessità dei reduci dalla guerra insoddisfatti per le promesse mancate dai Governi precedenti.
Nel testo è riportato l’ordinamento organico della nuova formazione militare, che assume compiti di polizia che modernizzano la sicurezza dello Stato. La Milizia portuale, ferroviaria, stradale, forestale, confinaria, universitaria, artiglieria contraerei, postelegrafonica, assicurano il controllo di funzioni, fino allora assolte in maniera disorganica dalla Pubblica Sicurezza e dai Carabinieri, fornendo prove d’efficienza e di grande capacità professionale. L’organizzazione fu presa a modello anche da altri Stati e, con la caduta del fascismo, le specializzazioni furono assorbite dalla Polizia di Stato. Oltre alle funzioni sopra elencate, la nuova organizzazione è impiegata nel mantenimento dell’ordine pubblico e giura fedeltà al Re, insieme alle altre FFAA, il 28 ottobre 1924. Interviene nelle operazioni di soccorso delle popolazioni colpite da disastri naturali e partecipa ai campi divisionali dell’Esercito al quale fornisce numerosi Battaglioni di prima linea.
La guerra d’Africa, quella di Spagna e la seconda guerra mondiale sanciscono il definitivo impiego dei Reparti fra le truppe combattenti segnalandosi per capacità militari, senso del dovere e spirito di sacrificio.
Trentasette Ordini di Savoia individuali, 90 Medaglie d’Oro al Valor Militare, 1232 quelle d’Argento, 2421 quelle di Bronzo più numerose promozioni per merito di guerra, costituiscono la rappresentazione di un patrimonio di Valori e di dedizione assoluta alla Patria che resta il vanto di una generazione alla quale è stato tolto tutto, in nome dell’odio ideologico. Le vicende della 33° Legione d’Imperia in Francia ed in Croazia sono ricostruite nel testo presentato e forniscono una prova della capacità e della fedeltà all’Italia della MVSN. Esse non sono dissimili da quelle delle altre Legioni.
Come sempre, i quaderni della LUX rischiarano la strada della verità.
Numerose le foto riportate. Interessante l’aggiornamento della lista dei Caduti della RSI d’Imperia.
NUOVO FRONTE N. 223 (2002)
JUNIO VALERIO BORGHESE E LA Xa FLOTTIGLIA MAS settembre 1943 - aprile 1945 
256 pp. - ill. b/n - brossura - ed. 2002 - Mursia. NUOVO. EUR 15,50   1x1_06058
Bordogna Mario (a cura di) JUNIO VALERIO BORGHESE E LA Xa FLOTTIGLIA MAS DALL'8 SETTEMBRE 1943 AL 26 APRILE 1945 256 pp. - ill. b/n - brossura - rist. 2007 Mursia - Testimonianze fra cronaca e storia (1939-1945: Seconda Guerra Mondiale) 
 
 
VERBALI DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA Edizione critica a cura di Francesca Romana Scardaccione
Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Reperibile nelle Librerie di Stato. 2002.
 
Nella storia italiana del '900 c'è stato e c'è un "buco nero”, che riguarda la Repubblica Sociale Italiana.  Questa circostanza fu denunciata già da uno dei principali storici di quel periodo, F. W. Deakin. il quale nel corso di un convegno affermò senza mezzi termini che «una storia della RSI è ancora da scrivere».  Sono passati degli, anni, molti saggi sono usciti in. proposito, è cambiato il clima culturale, favorendo approcci meno ideologici a un problema così difficile e controverso, ma quel buco denunciato da Deakin non è stato colmato, in gran parte per le difficoltà che s'incontravano a scandagliare in profondità, attraverso la documentazione originale, i programmi e l’attività.:   della repubblica del Nord.
Ora quella storia si può finalmente scrivere.  Sono infatti usciti, nella collana delle Fonti degli Archivi di Stato, i verbali del consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana (settembre 1943 - aprile 1945), a cura di Francesca Scardaccione, che ha studiato e ordinato criticamente l'immensa documentazione dell'Archivio centrale dello Stato, pubblicata nelle oltre 1600 pagine dei due volumi ricostruendo inoltre nell'introduzione le vicende istituzionali di Salò e la storia dei suoi archivi.
I verbali forniscono non solo i provvedimenti del governo della RSI durante i 600 giomi, ma soprattutto le loro motivazioni politiche, giuridiche, amministrative e sociali, presentando un quadro ben più complesso e ricco, do quanto non fosse possibile pensare finora, giudicando da quanto emergeva dalla saggistica specializzata, attenta soprattutto agli aspetti militari (sull'uno o sull'altro fronte) e all'occupazione tedesca. Queste fonti completano altresì quarto era stato pubblicato nei verbali dei governi che si erano succeduti dal '43 al '48 (Badoglio, Bonomi, Parri e De Gasperi), contribuendo a quella riunificazione della memoria sugli anni della transizione, della quale tutti, o quasi, negli ultimi tempi, hanno invocato la necessità.
Come Vichy per la Francia, così la RSI per l'Italia è stata fino a ieri oggetto di una rimozione ideologica ben superiore a quella che ha impedito per anni uno studio obiettivo del fascismo.  A Salò, anche per le lacune e il disordine della documentazione esistente, venne contestata la natura di Stato, riducendolo a semplice copertura dell'occupazione tedesca.  Fu necessario l’intervento di De Felice per ridare credito a una tesi già avanzata da Mussolini, secondo cui la Repubblica del Nord rappresentò comunque un valido cuscinetto tra l'occupante tedesco e il Paese, evitando all’Italia conseguenze paragonabili a quelle subite da altre nazioni sotto il controllo dell'esercito nazista.
 La documentazione dei verbali ci permette di andare oltre quella tesi, e di conoscere per la prima volta l'altra faccia di quel vero e proprio 'Giano bifronte' che fu la RSI: da una parte priva di sovranità sul piano militare e della grande politica, dall'altra pressoché autonoma nella legislazione e amministrazione interna, al punto che, mentre al Sud i decreti dovevano avere il visto degli Alleati. al Nord, questo non avveniva, almeno formalmente.  Con una burocrazia che a tutti i livelli continuò a operare secondo le vecchie regole e con la consueta efficienza, conservando quelle condizioni di 'normale amministrazione' che dopo la liberazione consentirono una rapida riunificazione dei Paese, con difficoltà assai inferiori a quanto si sarebbe potuto prevedere.
 Durante le 17 riunioni del governo, dal 23 settembre 1943 al 15 marzo 1945 (quella del 16 aprile non fu verbalizzata), vennero varati quasi un migliaio di provvedimenti: più o meno quanti ne adottarono negli stessi mesi i governi che si succedettero nel Sud e poi a Roma, anche se per questo dovettero riunirsi ben 67 volte, in quanto gli equilibri tra i diversi partiti richiedevano confronti ravvicinati.
E’ scandagliando tra questi mille provvedimenti, ma soprattutto tra le relazioni e le corrispondenze dei ministri che li promossero (Mussolini compreso) che si possono trovare le vere novità che i verbali restituiscono alla conoscenza storica.  A cominciare dal nome stesso della nuova formazione, che dopo aver assunto il nome provvisorio di “Stato nazionale repubblicano”, solo il 24 Novembre adottò quello di Repubblica Sociale Italiana, con implicazioni politiche del tutto evidenti.
Queste implicazioni emersero esplicitamente nel progetto di Costituzione affìdato al ministro dell' Educazione, Carlo Alberto Biggini, che lo scrisse tenendo davanti a sé una copia della costituzione della Repubblica romana del 1849 inviatagli da Mussolini, e dove all’art. 1 si legge: “Repubblica, ossia popolo sovrano, padrone assoluto dei propri destini... Sociale perché ciascuno dovrà godere in pieno il frutto del proprio lavoro”, e nel finale veniva richiamato il pensiero mazziniano come “il migliore aderente ai desideri della natura umana”.
I richiami risorgimentali sono presenti anche nell'appunto del sottosegretario alla Marina sulla foggia della nuova bandiera, con il quale si propone di adottare “la vecchia bandiera della Repubblica Cisalpina, tricolore con quattro coroncine d'alloro agli angoli.  Simbolo che vide la rinascita militare degli Italiani e sarebbe, gradito ai più, riagganciandosi ad una tradizione di combattimento e di libertà”.
Ma le durezze della guerra, al fronte e all’interno, emergono, anche se indirettamente da molti passaggi.
Intanto dalle difficoltà del reclutamento, che inducono alla fine di settembre del 1944 a consentire l'arruolamento anche dei non idonei. Come spiega Graziani nella sua relazione, s'intende «venire incontro a questa categoria di benemeriti figli della Patria», che si sono distinti in combattimento, “equiparandoli ai volontari regolarmente inquadrati”. O come si ricava dal provvedimento discusso il 24 Marzo del 1945, che intende autorizzare l'arruolamento dei minori anche senza il consenso del padre: provvedimenti che la dicono lunga sulla fine ormai imminente.
Ma il dramma della guerra civile si ricava anche dalla durezza dei rapporti con i tedeschi sul trattamento dei prigionieri.  Il ministro della giustizia, Pisenti, in una relazione a Mussolini del dicembre del 1944 invoca un accordo per «evitare gli arresti e le deportazioni dei cittadini italiani al di fuori dell’ingerenza della autorità nazionali», ottenendo che le misure contro gli '”italiani fossero di esclusiva competenza della polizia repubblicana” , che andava diffidata «dal ricorrere a quella tedesca nei confronti dei compatrioti». In ogni caso, concludeva Pisenti, ogni italiano, “qualunque sia il suo pensiero politico” dovrà un giorno riconoscere quanto sarebbe stata “più onerosa la situazione” senza la RSI.
La repubblica però, come s'è detto, voleva essere soprattutto “sociale”, e questa sua vocazione prese forma con molte leggi draconiane, anche se spesso destinate a rimanere sulla carta.  Di qui la legge sulla confederazione generale del lavoro, che riuniva «tutti i produttori della RSI», con l'esclusione dei capitalisti che avevano «collaborato alla disfatta del 25 luglio». .Ma anche quella sulla socializzazione, che creò i consigli di gestione tra operai e imprenditori, destinati a sopravvivere anche nel dopoguerra, rappresentando uno dei nodi più controversi, cavallo di battaglia di una parte delle sinistre.  Come pure una serie di provvedimenti tecnici ma di grande rilievo sociale, come l'unificazione dei contributi e la tenuta del libretto di lavoro nell’industria, che passarono pari pari allo stato sociale dei dopoguerra.
E’ dagli infìniti provvedimenti di gestione della quotidianità e delle piccole riforme che emerge in fondo la maggiore novità di questo Stato, che continuò ad assicurare , una “normale amministrazione” a gran parte del Paese consentendone una più facile riunificazione nel dopoguerra. E’ questa Italia che ha continuarto a viverenella Repubblica Sociale, oltre a quella che è stata protagonista della RSI, che consente finalmente di fare una storia a 360' gradi di quella realtà, colmando quella lacuna denunciata già da Deakin, e facilitando quella riunificazione della memoria storica che tutti sembrano oggi auspicare.
IL TEMPO Quotidiano del 12 Marzo 2003. Aldo G. Ricci 
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Li chiamarono «repubblichini», ma non furono soltanto marionette di Hitler. L' altra faccia dell' Italia, quella Repubblica Sociale rimossa per anni dagli storici ufficiali, demonizzata nel ricordo dai vincitori o idealizzata dai fascisti nostalgici, esce finalmente dalle nebbie. Fu cupamente tragico, certo, lo Stato mussoliniano, e crudele nel perseguitare gli ebrei, gli oppositori, i partigiani. Velleitario, anche, nei programmi socialisteggianti e in quella specie di rifondazione fascista che si accaniva nel punire i «traditori, i disfattisti, gli imboscati». Tuttavia si sforzò di ristabilire una parvenza di sovranità legislativa sulle rovine del regime e del paese. Soprattutto, permise all' immensa «zona grigia» dei tiepidi, dei non schierati e dei delusi di continuare a mandare avanti le cose. Tanto che pubblica amministrazione, economia e società riuscirono a superare l' emergenza, presentandosi all' appuntamento con la Liberazione. Queste tesi non appartengono all' ultimo studio di uno storico «revisionista», ma sono quanto risulta dai Verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana, pubblicati nella prima edizione critica per l' Archivio centrale dello Stato, a cura di Francesca Romana Scardaccione (alla quale si deve l' introduzione istituzionale e archivistica, mentre quella storica è affidata ad Aldo G. Ricci). Quasi duemila pagine fitte di rimandi e note, ordinate per calendario e argomenti; una specie di diario dei seicento giorni di Salò fra l' autunno del 1943 e la primavera del ' 45. La prima novità: dagli oltre mille provvedimenti approvati durante quei seicento giorni emerge la complessità di una organizzazione statale che continuò a svolgere il suo compito sino alla fine. Insomma, Salò non fu solo uno stato cuscinetto tra i tedeschi e il paese, come sostenne De Felice, cioè un' entità che consentì di limitare i danni dell' occupazione; fu anche uno Stato che garantì a oltre metà dell' Italia una gestione della cosa pubblica complessivamente efficiente. Certo, c' erano le violenze della guerra, le rappresaglie, i bombardamenti, le persecuzioni razziali; e c' era soprattutto il tentativo tutt' altro che nascosto, anzi proclamato e sbandierato, di trasformare la società in senso totalitario. Tuttavia, furono «totalitarie» soprattutto le intenzioni, mentre mancò il tempo e forse anche la volontà di metterle in pratica; l' amministrazione, al contrario, ne venne quasi interamente risparmiata. La seconda novità storica: il forte senso di continuità amministrativa che si percepisce tra Salò e l' Italia del dopo Liberazione, a partire da quella unificazione dei contributi e dei libretti di lavoro nel settore dell' industria che avrebbe dovuto costituire l' avvio della politica di «socializzazione», e che rimase invece senza seguito per il rapido crollo del regime. Ma è giusto mettere nel conto anche la lotta all' inflazione condotta capillarmente dai commissari dell' ufficio ministeriale nelle varie province, spesso combattendo con l' improvvisazione e l' indisciplina dei politici locali e l' ostilità dei tedeschi; e la riforma dei licei e dei ginnasi, varata nel febbraio del ' 45 per correggere alcune novità introdotte da Bottai e ritornare alla lettera della riforma gentiliana. Più di mille provvedimenti approvati in seicento giorni. Il che spiega la linea difensiva adottata da Mussolini nei confronti dei tedeschi, alleati diventati padroni: abbandonare le rivendicazioni velleitarie di indipendenza politica da Hitler, e «barcamenarsi». Ecco la frase integrale rivolta da Mussolini all' ambasciatore Mazzolini, che gli raccomandava di contenere le pressioni germaniche: «Non mi considero su di un piano storico, né su di un piano politico, ma su di un modesto piano amministrativo. Né può essere altrimenti fino a che i tedeschi interferiscono nella vita del paese, dispongono di polizie e contropolizie al cui servizio non soltanto tedeschi, ma anche italiani o sedicenti tali sono adibiti». Le quasi duemila pagine dei Verbali contengono poi, appena occultate dalla asettica prosa ministeriale, passaggi indicativi del clima di quei mesi nella fortezza assediata: ad esempio, il dibattito del novembre 1943 sulla sostituzione delle stellette per i militari, e sull' inopportunità di mettere al loro posto i fasci. Si ritrova una significativa ammissione circa la «istintiva diffidenza verso tutto ciò che sappia di politica dopo i recenti trascorsi»; il fatto che «la parola Fascismo è oggi giù di moda» e anche un' inquietante prospettiva: «Se domani i badogliani marciassero con le stellette al bavero contro di noi, nell' opinione pubblica gli italiani sarebbero loro e noi, al massimo i fascisti». Meno simbolica, e più drammaticamente significativo, invece, il dibattito nella seduta del dicembre 1944 sulla «opportunità di diffidare tutti gli organismi periferici dal ricorrere alla polizia germanica anziché alle nostre autorità contro cittadini italiani». Il braccio di ferro, infatti, riguardava la richiesta tedesca di introdurre la pena di morte per danneggiamenti alle forze armate anche in mancanza di vittime: alla fine approvato però mai adottato, a provare lo sforzo di arrestare la macchina dell' imbarbarimento sull' orlo dell' abisso. Molto altro si trova nei Verbali, ma ciò che colpisce è, soprattutto, il correre inconsapevole di tutti verso la catastrofe. Se scorriamo l' ordine del giorno dell' ultimo Consiglio dei ministri, convocato il 16 aprile 1945, dunque a nove giorni dalla Liberazione, troviamo una grigia lista di decreti che non poterono mai essere presi: tariffe, nomine, commissioni destinate a finire fra le curiosità della storia mancata. Perché nessuno ebbe la sensazione della fine imminente? Fu un caso di cecità collettiva? Più probabilmente, un tentativo estremo di giustificarsi davanti alla storia e alla propria coscienza: non camicie nere, non poliziotti del regime, ma «amministratori» corretti di un patrimonio in liquidazione, di un' idea fallita. Dario Fertilio L' OPERA Sei anni di storia I Verbali completano quelli dedicati al consiglio dei ministri dal 1943 al ' 48 dei governi da Badoglio a De Gasperi, già pubblicati (sempre a cura di Ricci) dalla presidenza del Consiglio con la prefazione di Ciampi, allora capo del governo. I Verbali sono pubblicati per le edizioni della Direzione Generale per gli Archivi e potranno presto essere acquistati presso la Libreria dello Stato.
CORRIERE DELLA SERA Quotidiano di Venerd? 28 febbraio, 2003. Dario Fertilio. SALO' MILLE LEGGI PER SEICENTO GIORNI. Dal libretto di lavoro alla riforma della scuola: così la Rsi influenzò il dopo fascismo. Pubblicati dall' Archivio Centrale dello Stato tutti gli atti politici e amministrativi approvati da Mussolini fra il ' 43 e il ' 45.
 
 
 
 
Del Giudice Davide Penne nere sulle Alpi Apuane
Editore Lupo. 2002 (2001?) Editoriale Lupo (Vicchio FI) pag. 130 s.p. Richiedere a: Editoriale Lupo, C.P. 10 50039 Vicchio (FI) Tel. 055.8497514
 
Finalmente è uscito il libro "Penne nere sulle Apuane", btg. Alpini Intra Div. Monterosa 1944-45, ultima fatica di Davide Del Giudice. Lo potete ordinare presso l'Editoriale Lupo, casella postale n°10 50039 Firenze, verrà spedito verso la fine di settembre. Il libro narra della guerra alpina condotta dai soldati della RSI sul fronte della linea gotica occidentale in alta Versilia sulle Alpi Apuane. Il testo, di 200 pagine, contiene circa 90 foto e documenti assolutamente inediti ed eccezionali ed è stato scritto con l'appassionato aiuto dei reduci dell'Intra. In copertina troviamo una bella illustrazione dell'artista Cesare Dell'Amico. Il battaglione Intra tenne il fronte per sei mesi nel difficile inverno 1944/'45 e si arrese con l'onore delle armi a Fornovo del Taro (PR) il 29 aprile 1945, lasciando sul campo dell'onore una sessantina di caduti e molti feriti. Il motto di una compagnia dell'Intra riassume lo spirito di questi ragazzi di un tempo:"Italia, per i tuoi morti, per i tuoi vivi". Erano ragazzi che in media avevano vent'anni e pagarono un prezzo alto per le loro scelte. Oggi sono dimenticati dalla storia ufficiale, quando non disprezzati, ma erano lo specchio di una Italia più povera, ma fiera ed onesta. Non li dimentichiamo, sono nostri fratelli.
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Nell'inverno 1944-45 le Alpi Apuane furono teatro di una guerra di posizione simile a quella del I° conflitto mondiale. Sulle Alpi italo-austriache del Btg. Alpini Intra/Divisione Monterosa contro gli Americani che avanzavano da Sud appoggiati dalle unità partigiane sul retrofronte.
Per la prima volta questo libro ricostruisce drammi ed eroismi di quel tragico periodo, gettando nuova luce su molti episodi dimenticati, con l'aiuto di documenti inediti ed un eccezionale repertorio fotografico
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Dell’Autore abbiamo già scritto.
È giovane, ricercatore appassionato e libero da pregiudizi.
Le Alpi Apuane furono teatro di una guerra di posizione che vide il Battaglione Intra in prima linea per ben sei mesi. Fu una lotta senza esclusione di colpi condotta da veterani e da giovani di leva contro un nemico forte, ben nutrito ed equipaggiato, in zone aspre e selvagge, colpiti alle spalle dai partigiani, con la morte sempre presente.
La guerra volgeva al termine ma gli alpini dell’Intra rimasero fino all’ultimo giorno, senza sbandarsi nella ritirata, fronteggiando il nemico metro per metro.
Quante pagine d’eroismo dimenticate! Politicamente improponibili! Figli di una Patria avversa.
Leggere questo libro è come respirare una boccata d’aria pura. I racconti dei superstiti, nella semplicità narrativa, sembrano alleggerire i sacrifici affrontati: non vi sono rivendicazioni, rivalse, maledizioni.
Tutto appare semplice, naturale.
Il ricordo dei Caduti è affidato ai superstiti. Essi sono sempre vivi perché vivono nella memoria dei camerati che hanno mantenuto un legame fra loro.
Questo testo si legge con vorace curiosità per non perdere un’azione, una descrizione, una sempre maggiore conoscenza dei fatti. Auguro che molti giovani possano avere modo di leggere questo libro.
NUOVO FRONTE N. 216 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Bernini Fabrizio Salò. L'ultimo capo della polizia del Duce
2002. Aurora Edizioni Casella Postale 4/2 27049 Stradella (PV) Fax 0385/278819 Pag. 240, 22 illustrazioni. Euro 18,00
Biografia del generale Renzo Montagna, componente la giuria del Tribunale Speciale Straordinario di Verona chiamato a giudicare l'operato di Ciano e degli altri membri del Gran Consiglio firmatari dell'ordine del giorno Grandi del fatidico 25 luglio 1943.
Successivamente Montagna viene nominato dal Duce capo della Polizia della RSI e, ordinando l'arresto di Pietro Koch, avvia la riforma delle forze dell'ordine repubblicane unificandole. 
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Dalla copertina: Renzo Montagna fu uno dei pontisti, uno dunque di quelli verso i quali, dalle carceri della Repubblica, nata dalla Resistenza, i fascisti repubblicani di Salò in attesa di giudizio o condannati ormai definitivamente, puntavano il dito pronunciando la tipica frase: "in che mani eravamo". Per Montagna la riabilitazione venne, non dai tribunali dello Stato che, peraltro lo assolsero da varie imputazioni, ma dal più impegnativo banco di prova di un giurì d'onore, composto dagli stessi fascisti, quindi ancor più implacabile, intransigente e duro, perché composto da persone che ormai nulla più avevano da spartire con comunelle di potere, che nessun interesse potevano avere nel testimoniare fatti della guerra civile, distorcendone la realtà. Dal giudizio che il personaggio sollecitò allora, a pochi mesi dai fatti che si consumarono in quel terribile biennio di guerra civile, ad un giudizio postumo che ogni lettore, ergendosi a giudice potrà dare dopo aver scorso queste pagine, non potrà che confermare una piena assoluzione all'Uomo che solo era rimasto nel tentativo di salvare la vita al genero del Duce ed agli altri imputati in quel di Verona, intelligente e deciso si era dimostrato nel liberare la "Repubblica di sangue e lacrime" dalle pseudo polizie che ne dilaniavano il corpo e infine generosamente aveva tentato in ogni modo possibile di umanizzare, nel limite delle sue prerogative, gli effetti di una guerra tra italiani, resa volontariamente aspra dagli opposti estremismi. Dal canto suo il generale potrà, a giusta ragione, rivolgersi spiritualmente ai suoi nuovi giudici con la certezza derivatagli da un onesto modo difare e ripetergli, parafrasando Mastino Del Rio: "Guardate, non vi sono macchie, ma soltanto ferite'
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Fabrizio Bernini è un Autore serio e documentato. Collabora a molte pubblicazioni ed ha al Suo attivo molteplici opere concernenti la storia, l’arte ed il folclore dell’Oltrepò.
Anche il testo presentato è nel filone storico del Fascismo ed è un importante contributo, per avvicinarsi alla verità, per quanto riguarda molti argomenti che furono oggetto di discussioni e recriminazioni.
Il Generale Montagna fu un fascista della prima ora, che passò, come tutti gli squadristi, dalla trincea al Fascismo, come naturale punto d’approdo per chi aveva valorosamente combattuto e non voleva che fossero resi vani i sacrifici dei Combattenti.
Ufficiale della MVSN partecipa alle operazioni in Slovenia al comando del "Raggruppamento d’Assalto 21 aprile’’ ed è rimpatriato con due mesi di licenza di convalescenza, in una data prossima al 25 luglio 1943.
Personaggio conosciuto come esponente del fascismo pavese, è arrestato su ordine di Badoglio e tradotto a Roma a Forte Boccea.
Durante la detenzione raccoglie le confidenze di molti personaggi, incarcerati da Badoglio, che gli permettono una ricostruzione degli avvenimenti culminanti con il colpo di stato del 25 luglio. Liberato, con gli altri, dall’intervento germanico, trascorre alcuni giorni presso il Comando di Kesserling a Frascati e vive in prima pesona la tragedia del suicidio del Generale Cavallero.
L’adesione alla Repubblica Sociale Italiana fa da logico corollario al suo passato: ha dei contatti con Mussolini, fa parte del collegio giudicante nel processo di Verona, ove si espone contro un giudizio precostituito, ma non riesce a far pervenire al Duce le domande di grazia dei condannati che sono fucilati dopo poche ore dal verdetto.
Nominato Capo della Polizia, avvia la riforma del Corpo, allontanando i più facinorosi e costituendo un Servizio segreto speciale che in breve tempo ottiene tutte le informazioni possibili per bloccare la Resistenza.
In verità, gli interventi di questo Servizio furono un’opportunità per salvare molti personaggi, come Parri, da un brutto destino.
In queste vicende molte furono le personalità implicate, e balza in evidenza il giornalista socialista Silvestri, buon amico di Mussolini, sempre pronto ad intervenire per salvare qualcuno. Di lui Mussolini così dice: "Silvestri è un generoso. È appena sfuggito al pericolo d’essere fucilato dai tedeschi, e già si occupa della sorte degli altri… Aiutatelo in questa missione d’umanità e d’italianità. Del resto voi conoscete le mie idee e io conosco le vostre.
Anche se l’antifascismo mi odia, io non odio i miei nemici. Alla tragedia che supera me e gli altri, non voglio aggiungerne altre’’.
Questi rapporti, con gli elementi più moderati della Resistenza, portarono al salvataggio dell’apparato industriale dell’Italia e dovevano preludere ad un passaggio dei poteri senza eccessi e spargimento di sangue, favorendo la parte socialista rispetto alle altre. Purtroppo gli esagitati ed i paranoici ebbero il sopravvento e la tragedia prese forma di un bagno di sangue che travolse gli innocenti.
Sandro Pertini, con il proprio atteggiamento, fu l’artefice principale dei mancati accordi; oltranzista contro ogni buon senso, diede sfogo al risentimento personale senza valutare le conseguenze che determinava, consentendo ai comunisti l’espletamento del programma di sterminio della classe dirigente.
Il libro è storicamente interessante; fa chiarezza su tanti argomenti che furono e sono oggetto di discussione sulla nascita e fine della Repubblica Sociale Italiana.
È rivelato l’aspetto umano che sempre animò Mussolini, che sacrificò la Sua vita perché l’Italia non divenisse terra bruciata per opera dei tedeschi traditi da Badoglio.
NUOVO FRONTE N. 222 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
Fabrizio Bernini LE STRAGI DI BAROSTRO E CENCERATE Autunno 1944 nel Varzese
Aurora Edizioni, Cas. Post. 4/2 27049 Stradella (PV), Fax 0385/278819, Pag. 171 Euro 18,00, 2002,   pp. 200, 25 illustrazioni
Di Fabrizio Bernini abbiamo scritto più volte e non possiamo che confermare la bontà della sua opera volta a mettere in luce le atroci vicende della guerra civile in Italia con speciale riferimento a quel vasto territorio montagnoso che fa da barriera fra la Liguria e la pianura padana.
Barostro e Cencerate hanno un suono sinistro, rievocano stragi orribili che provocarono ripulsa anche in molti partigiani che, inutilmente, si opposero alla follia omicida dei comunisti.
Anche qui incontriamo il famoso Piero (in arte omicida) commissario politico delle formazioni garibaldine, identificato in Orfeo Landini, comunista esaltato che sosteneva la necessità di uccidere quanti più fascisti, di tutte le età, per non doverlo fare in una fase successiva. Il Landini, morto recentemente, ebbe una parte di rilievo nell’uccisione di Mussolini e nelle fucilazioni di Dongo.
Con l’8 settembre e con l’emanazione dei bandi di chiamata alle armi, alcune centinaia di sbandati dell’esercito, di renitenti alla leva, di prigionieri di guerra e di autentici delinquenti scappati dalle patrie galere, trovarono rifugio fra i dispersi paesi di montagna che offrivano loro un tetto ed un letto. All’inizio non vi furono problemi anche perché le Autorità repubblicane avevano altro da fare che pensare ai banditi o ribelli. Ebbero successivamente inizio rapimenti di appartenenti alla RSI, furti e grassa-zioni. Il fronte, sempre più vicino, esigeva la libertà delle strade di comunicazione e furono tentate persino delle intese con i "ribelli’’ ma la presenza degli uomini del partito comunista, che aveva iniziato l’organizzazione delle bande, non rese possibile alcun accordo per cui si rese necessaria un’azione militare.
Nel periodo in cui non fu prevalente la presenza comunista, erano stati catturati soldati e civili in sospetto di fascismo ma, proprio per la natura del primo fenomeno ribellistico, i prigionieri erano stati confinati nei paesi sperduti della montagna dai quali era impossibile ogni fuga. Il trattamento era umano e quando necessario si provvedeva ad uno scambio di prigionieri in mano alle Autorità repubblicane. L’arrivo di "Piero’’ sconvolse questi rapporti e sotto l’incalzare dei rastrellamenti, provocati dall’aggressività dei comunisti, fu un gioco da ragazzi imporre l’assassinio dei prigionieri contro la volontà degli altri partigiani che ancora avevano un senso di rispetto per gli inermi.
Nel dopoguerra i parenti delle vittime denunciarono il boia ma la sentenza non ebbe conseguenze per la sopravvenuta amnistia di Togliatti.
Leggetelo questo libro, scorreranno sotto i vostri occhi le sevizie inflitte ai giovani Marò della San Marco, la rapina dei loro indumenti pochi minuti prima della fucilazione, la scomparsa dei pochi averi (corollario di ogni massacro) tutto in nome di un’ideologia assassina ammantata di parole come uguaglianza, libertà e giustizia.
La dottrina dell’odio e dell’invidia è riuscita ad ammantarsi di legalità; oggi è ancora presente nei gangli vitali dello Stato, ancora si esprime con il terrorismo e non concede tregua.
Testo interessante ed istruttivo, si legge con il desiderio di conoscere la pagina successiva, senza interruzioni.
NUOVO FRONTE N. 225 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
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Il volume ricostruisce con dovizia di particolari, basandosi principalmente sugli atti del processo che si celebrò nel dopoguerra, le esecuzioni dei marò della "San Marco" e di civili, compiute nell'autunno 1944 in alta Val Staffora (provincia di Pavia) dal famigerato partigiano "Piero", implicato pure, come ha documentato Bernini nel suo saggio "Così uccidemmo il Duce", nell'uccisione di Mussolini. 
 
 
Servello Franco REVISIONISMO LA CADUTA DEI TABU'
Koinè Edizioni. 2002. 110 pagine, 12 Euri.
 
Perché in Italia si continua tanto a parlare di fascismo e poco di comunismo?  Perché i caduti della Rsi non sono onorati come i martiri partigiani?  Perché i libri di storia tacciono ancora sulle foibe? E' attorno a queste provocatorie domande che ruota il libro di Franco Servello, uno storico esponente della destra italiana che oggi si batte affinché il revisionismo entri nella cultura ufficiale della Repubblica. Sulla base della sua lunga esperienza politica l'autore rivolge i quesiti più impegnativi a Ciampi. Il Capo dello Stato si sta adoperando per la riscoperta del patriottismo ma la tesi del volume è che non sia possibile risvegliare il sentimento nazionale senza leggere tutte le pagine scomode della vicenda italiana. Non diventeremo mai un paese normale finché non metteremo la parola fine alla strumentalizzazione politica della storia.
Dalla copertina
Galli Renato COSA RACCONTA UNA LAPIDE 1944-2001. I morti inutili. Le crude verità della guerra di Liberazione
Saviolo Editore. 2002. 387 pagine.
 
Questa tragica pagina sangermanese, sepolta come molte altre analoghe pagine di quei bui anni di guerra fratricida, viene riaperta ora con questo volume, scritto dal figlio dei defunti coniugi Galli.  Per quest'unico figlio, privato violentemente in tenera età, dei suoi genitori, quella pagina è rimasta lucidamente e tragicamente aperta per tutti questi anni. Il volume è il prodotto voluto, con ferrea ossessione, dall'autore che ha dedicato praticamente tutta la sua vita alla ricerca di documenti, dati, informazioni, annotazioni, ecc., che permettessero di conoscere tutti gli eventi che in qualche modo riguardassero la tragedia della sua famiglia. L’autore esibisce queste pagine sottoponendole all'attenzione e alla valutazione del lettore per ottenere un giudizio storico. Il Galli, come traspare dalla lettura dei presente testo, è convinto dell'innocenza dei suoi genitori e con questo libro intende solo riabilitare agli occhi di tutti e specialmente agli occhi di tanti sangermanesi la loro memoria. Il Galli, avendo ben presente la crudele legge della guerra, non chiede vendette postume, non invoca pentimenti tardivi, ma invita tutti coloro che conobbero i suoi genitori a riformulare, alla luce di questa documentata storia, il loro giudizio. Per tanti altri lettori meno giovani e giovani rimane la speranza che questa tragica pagina di vita ottenga un maggior rispetto per la vita di tutti.
Dalla copertina
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Ed. Saviolo: pagg. 392.
Conosco bene la storia di questo libro appena uscito, e non soltanto per averne scritta l’introduzione, ma soprattutto per averne seguito passo dopo passo la stessa realizzazione. Volume uscito in due tempi, tanto da indurre l’autore – sempre critico nei confronti del fascismo stesso, è bene ricordarlo, e quindi non certo imputabile di eventuale "parzialità’’ – a curare la presente riedizione aggiornata ed approfondita, in seguito al fatto che Rai 3 e decine di giornali ne parlarono assiduamente, creando un interesse nazionale che andò molto al di là delle intenzioni dell’autore.
La vicenda narrata è una di quelle tante storie, troppe, di cui la Storia ufficiale ed accademica non hanno mai parlato, e che stanno lentamente ma inesorabilmente venendo a galla dopo più di mezzo secolo: una di quelle pagine tragiche e violente di cui la Resistenza si macchiò spesso ma su cui erano caduti oblio ed omertà. I genitori di Renato Galli, autore del volume, furono infatti prelevati nel 1945 da partigiani comunisti e barbaramente trucidati con l’accusa di essere "spie fasciste’’, accusa completamente smontata dal figlio, documenti alla mano. Vittime civili quindi, assassinate ferocemente, probabilmente per una delle tante "vendette’’ derivate da invidie, gelosie o meschini interessi personali. La Resistenza fu anche questo, tanto da non poter contare più gli innumerevoli casi analoghi. Ma la Storia ufficiale sembra continuare a non accorgersene, fatte rare e lodevoli eccezioni, giacché "la Storia la scrive chi vince’’ mentre libri come questo fanno una volta di più pensare che invece la storia si dovrebbe scrivere con la verità. Questo libro è una testimonianza preziosissima, avvincente come un romanzo grazie anche alla straordinaria capacità narrativa del settantenne autore che, nonostante qualche piccolo ininfluente errore di battitura, ha saputo rendere magistralmente l’atmosfera della vicenda.
E’ un volume che tutti dovrebbero leggere, soprattutto coloro che militarono in buona fede nella Resistenza, in quanto testimonianza esemplare di come le cose spesso funzionassero in quel tragico periodo tutto italiano che andò dal 1943 al 1945. L’autore non ha voluto "vendicarsi’’ o accanirsi sugli assassini dei genitori dopo tutto questo tempo, bensì semplicemente tributare ai propri familiari un doveroso omaggio: anni di indagini, interviste agli stessi partigiani protagonisti, consultazioni di archivi polverosi, sbiaditi e "dimenticati’’, ricerche, da provetto "007’’, hanno dato risultati che forse lo stesso Galli non aveva previsto. Avvincente come un giallo, un giallo purtroppo realmente accaduto, che coinvolge fin dalla prima delle sue pagine. Da leggere assolutamente, soprattutto perché la tragedia della famiglia di Renato Galli è la stessa tragedia di centinaia di altre famiglie di cui non si è parlato e di cui non si parlerà forse mai: un libro, nella sua semplicità disarmante, affascinante, terribile, un libro da leggere e far leggere a quanti più possibile.
Reperibile presso le: Edizioni Saviolo, Via Col di Lana 12, 13100 Vercelli – Tel. 0161/391000.
Ludovico Ellena
NUOVO FRONTE N. 225 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
Liliana Peirano IL MASSACRO DI PIAN BULE' RAGAZZI: PRESENTE Parte terza
RA.RA. Tel. e Fax 0174567453, Euro 15,00 pag. 142
Della stessa collana, "Ragazzi presente’’, l’Autrice ha pubblicato altri due volumi ("La battaglia di Som-mariva Perno’’ e "Integrazione - Ragazzi: presente’’ - Parte seconda. 
Con questo terzo volume si amplia la conoscenza di pagine di storia della guerra civile che infierì nella provincia di Cuneo, la Provincia Granda, che occupa circa un quarto del Piemonte.
La natura del terreno favorì la permanenza di un gran numero di soldati sbandati delle grandi Unità del Regio Esercito, di disertori e renitenti alla leva dell’Esercito Nazionale Repubblicano, di evasi dalle patrie galere, di delinquenti comuni dediti alle grassazioni e alle rapine, di prigionieri fuggiti dai campi di concentramento. Questa massa eterogenea bivaccò, per un certo periodo, nella speranza di una rapida soluzione della guerra, procurando disagi alla popolazione locale che dovette sopperire alle necessità alimentari e a quanto necessario per sopravvivere in un ambiente di natura ostile per il freddo ed i disagi. Le Autorità della RSI evitarono d’impegnare uomini e mezzi per risolvere l’anomala situazione, ma quando gli inviati del Partito comunista iniziarono l’organizzazione di bande ribelli, supportate dal lancio di rifornimenti da parte degli Alleati, furono organizzati dei rastrellamenti per stroncare ogni attività di carattere ribellistico.
La lotta fu condotta in modo duro e determinato da ambo le parti e, purtroppo, nelle rappresaglie fu coinvolta la popolazione civile costretta con la forza a dare aiuto alle formazioni partigiane.
I partigiani comunisti si distinsero per l’efferatezza che manifestarono in ogni occasione, allo scopo di suscitare ritorsioni, anche contro il parere di chi non voleva un inasprimento della situazione.
Il testo presentato ci narra di una di questa azioni tendenti al ristabilimento della legalità nell’area compresa fra Cisterna e Santo Stefano Roero e che la storiografia partigiana riporta pomposamente come "battaglia dei tre giorni’’ 6-7-8 marzo 1945, precedendo di un mese l’altro scontro del 14 aprile 1945 avvenuto a Sommariva Perno.
Questi scontri furono caratterizzati da imboscate improvvise e dai massacri bestiali che furono operati nei confronti dei prigionieri repubblicani, senza pietà alcuna verso gli uccisi, rendendo occulte anche le loro sepolture, dopo averli spogliati degli indumenti e dei loro averi.
Un’Ausiliaria, al seguito del Reparto Repubblicano, fu ritrovata squartata. Il testo presentato è ricco di documentazioni e merita d’essere letto per avvicinarsi a quella verità che, ancora oggi, è nascosta dai mille e mille farisei che hanno fatto fortuna sulla menzogna, noncuranti del dolore dei familiari dei Caduti, sempre pronti a reagire ed ai distinguo ogni volta che si vuole squarciare il velo che nasconde la verità storica.
Grazie all’Autrice che, con amore materno, restituisce alla memoria il ricordo di tanti ragazzi Caduti per l’Onore dell’Italia.
NUOVO FRONTE N. 226 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
 
 
Gatta Bruno QUEL GIORNO DI SETTEMBRE
Settimo Sigillo 2002
 
Presentazione: Fu un giurista, prestato nel tempo libero alla letteratura, ad inventare vent'anni fa lo slogan storico della morte della patria, che poi ha avuto fortuna. In due sole parole il professor Satta riassumeva il trauma vissuto dal popolo italiano con la guerra perduta: come l'Esercito, quella sera dell'8 settembre, si dissolvesse e travolgesse nella sua rovina lo Stato che si sfasciò anch'esso; come la Marina si arrendesse al nemico; e il re, il maresciallo-capo del governo e i generali fuggissero da Roma; insomma come il destino si compisse "in un modo che neppure il più apocalittico dei profeti avrebbe potuto immaginare". Scriveva Salvatore Satta che 4 6 nella tracia polve non giaceva, ruina immensa l'italica virtute, giaceva un'Italia senza virtù".
Quali le cause vicine e lontane della strana disfatta? Un primo perché era da ricercare nella mancanza di carità patria degli italiani e nel fatto paradossale di un popolo che in fondo aveva voluto la propria sconfitta. "Una siffatta cupido dissolvendo era senza precedenti non solo nella nostra storia, ma in quella di tutte le genti". Dante narra di una certa Sapìa senese che pregava Dio perché i concittadini suoi fossero, come furono, sconfitti, sbaragliati, messi in fuga: "... e io pregava Iddio di quel ch'e' volle, rotti fuor quivi e vòlti ne li amari passi di fuga". Assistendo dall'alto del suo castello di Monteriggioni alla battaglia di Colle di Val d'Elsa, ella si rallegrava della sconfitta guelfa: "letizia presi a tutte altre dispari". Rimendo, cioè ricucendo, rammendando con Dante il suo passato, madonna Sapìa confessa la sua colpa, perdonatale da Dio e dal poeta: "odi s'i fui, com'io ti dico, folle... Savia non fui, avvegna che Sapìa, fossi chiamata, e fui de li altrui
danni, più lieta assai che di ventura mia". Ma Sapìa, commenta Satta, non era Siena e invece l'Italia si era fatta Sapìa. Anche in tempi più vicini del medioevo dantesco, all'epoca di Napoleone, le famiglie francesi - lo documenta lo storico Michelet - temevano le vittorie dell'imperatore per i lutti che esse mietevano insieme con la gloria, ma paventare le conseguenze luttuose di una vittoria non significava per ciò stesso volere la sconfitta. "Questa fu, invece, voluta dal popolo italiano: il vae victori col quale rispose il 10 giugno 1940 al vinceremo lanciato con voce stridula dal suo capo, fu il programma che egli tracciò a se stesso e al quale restò fedele sino all'8 settembre 1943, quando Dio esaudì finalmente il suo voto". E quando appunto morì la patria: come tristemente annunciava lo slogan storico inventato dal giurista sardo, fatto proprio e divulgato dal politologo Galli della Loggia e dallo storico De Felice. Del resto già lo scrittore Corrado Alvaro, a ridosso del luttuoso 8 settembre, aveva parlato della catastrofe di quel giorno, della pazzia morale di tutto un popolo diventato insincero anche con se stesso. E Benedetto Croce confessava nel diario una sua patria insonnia: "sono stato sveglio per alcune ore, sempre fisso nel pensiero che tutto quanto le generazioni italiane avevano da un secolo in qua costruito politicamente, economicamente e moralmente è distrutto, irrimediabilmente". Nel lamento del filosofo quale e quanta differenza con il cinismo di un Salvemini, più antifascista arrabbiato che italiano addolorato: "il bluff è finito, l'Italia non è più che una sfera d'influenza inglese, una colonia inglese, una seconda Irlanda". Quelli contro la patria sono peccati mortali che non sono perdonati neppure dalla misericordia di Dio, se non c'è pentimento, rimorso. Sono peccati che gravano sull'anima, come quello di Sapìa senese e della sua parte ghibellina vincente sulla guelfa perdente. La coscienza storica degli italiani, dopo una lunga dimenticanza, comincia a recitare il mea culpa, mea maxima culpa.
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L'8 Settembre fu, nella storia degli Italiani, la morte della Patria. Lo slogan, inventato dalla fantasia di Salvatore Satta, un professore di diritto prestato alla letteratura ha avuto fortuna tra gli storici di varia ideologia. Fu una giornata particolare che "neppure il più apocalittico dei profeti avrebbe potuto immaginare".
Questo libro racconta, nel suo ottavo luingo capitolo, la cronaca dell'armistizio, delle trattative mal condotte, delle ambizioni sbagliate degli uomini, la confusione morale che fiaccava gli animi e le volontà. Ma quel giorno di Settembre fu solo la fine di un percorso doloroso che vide ingrossarsi la sconfitta mese dopo mese, bollettino dopo bollettino, come una corsa verso il destino. Tuttavia vi furono, in quei tre anni della guerra perduta, eroismi e sacrifici, in terra, sul mare, in cielo, in Africa, in Grecia, in Russia che meritano di essere ricordati con devozione. I primi sette capitoli del nostro racconto sono un'introduzuione a quella che fu una catastrofe nazionale.
Giannini Filippo - Mussolini Guido MUSSOLINI L'UOMO DELLA PACE - Il sangue e l'oro
Settimo Sigillo Editore. 2002
 
Prosegue con questo terzo volume la storia del Ventennio raccontata, come gli storici in genere non san fare, in maniera piana e scorrevole e soprattutto senza la solita piaggeria resistenziale, come gli storici in genere san quasi sempre fare, dalla penna di Filippo Giannini con la collaborazione del figlio di Mussolini. Anche in questo volume permane la trascrizione speciale con i brani salienti e importanti in grassetto. Ottima idea che rende facili ricollegamenti di lettura man mano che si va avanti.
Dalla copertina
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Guido Mussolini è il figlio di Vittorio Mussolini, ha dedicato molto tempo ad approfondire la storia del Ventennio e con Filippo Giannini, architetto di livello internazionale, ci offre una serie di volumi, di facile lettura e supportati da un’adeguata documentazione, ricostruendo un periodo della nostra storia fra i più incisivi sia a livello nazionale sia internazionale.
Il testo presentato è il terzo volume di un piano d’opera che ricostruisce gli avvenimenti dell’epoca ed il pensiero mussoliniano. In sedici capitoli, cinque appendici e documenti vari, gli Autori ripercorrono le fasi salienti e le motivazioni che portarono le nazioni in guerra, con particolare riferimento all’ipocrita condotta degli Stati Uniti che sempre manovrarono, sia nella prima guerra mondiale sia nella seconda, per entrare in conflitto, sia pure contro la volontà popolare. L’ostacolo dell’opinione pubblica fu sempre rimosso, provocando atti di guerra successivi a manovre ben costruite.
L’ingiustizia e la voracità di un capitalismo rozzo non potevano essere accettate dall’Europa stremata dalla guerra, debitrice nei confronti dell’America, con masse di esasperati che cercavano, nell’immigrazione o nel comunismo, il senso di una rivalsa, che trovarono nel fascismo e nel nazismo il mezzo per essere di nuovo inseriti nel novero delle nazioni forti.
Chi voleva strozzare le nazioni ricche d’ingegno e fantasia, non poteva rinunciare all’economia basata sulla monetizzazione aurea anziché sulla quantità e qualità del lavoro, non accettava la ridistribuzione delle fonti di materie prime, ma sopra ogni cosa era la politica autonoma, sia interna sia internazionale, a preoccupare chi deteneva il potere economico mondiale ed il controllo dei mari.
Una personalità come quella di Mussolini, formatasi nelle lotte giovanili, maturata in trincea, non poteva accettare uno stato di fatto come quello che si stava realizzando fra la prima e la seconda guerra mondiale e la Sua scelta fu quella di sconvolgere il grande piano della massoneria capitalista mondiale che trovava nell’Inghilterra e negli USA il braccio secolare. Trovare un certo numero di traditori, all’interno della compagine nazionale, non fu certo difficile, considerando quanti scalpitavano fra gli alti gradi della Marina e dell’Esercito per ottenere prebende e riconoscimenti.
Gli Autori ricostruiscono, con opportuna documentazione, quanto sopra esposto, e vengono così alla luce i fatti di Pantelleria, l’organizzazione del colpo di stato badogliano, le "intelligenze’’ con il nemico prima dell’otto settembre.
Il testo è importante, si legge con scorrevolezza, ci induce a riflettere e ci rattrista pensando a quanti offrirono la propria vita con ingenuità magari gridando "viva il Re’’.
Oggi ci sono giovani che protestano contro il capitalismo internazionale, il G8, scassano città per rivendicare il diritto di tutti i popoli a vivere senza lo spettro della fame e delle malattie, danno del "fascista’’ a chi li contrasta, ma nessuno spiega loro che il primo a combattere, con una guerra, contro la grande ingiustizia della fame nel mondo, fu proprio Benito Mussolini, vilipeso dalla plebaglia rozza ed ignorante, che per la prima volta aveva avuto riforme degne di questo nome, creando la civiltà del lavoro.
È un testo la cui lettura è consigliata a chi vuole conoscere la nostra storia.
Eventualmente richiedere a: Libreria Europa 00192 ROMA Via Sebastiano Veniero 74/76 Tel. 06 397 221 55 Fax 06 397 221 66 NUOVO FRONTE N. 229 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno Mario Pellegrinetti 
Caputo Vincenzo. FERRARA 1945 I GIORNI DELL'ODIO. IN APPENDICE: IL MEMORIALE SERGIO.
2002. Ed.Settimo Sigillo Roma, luglio 2002, pp. 160, 14,00 email:ordine@libreriaeuropa.net
 
La guerra civile che ha insanguinato l'Italia alla fine della seconda guerra mondiale ha avuto nel "triangolo della morte" tra Reggio Emilia, Bologna e Ferrara una coda di omicidi e stragi premeditate e gratuite. Ferrara e la sua provincia sono stati teatro di queste esecuziobni sommarie.
Il libro di Caputo ne tratteggia la storia, documenatndone gli aspetti più nascosti e mai raccontati nei libri di storia.
In particolare la strage delle carceri di Ferrara del Giugno 1945.
In aoppendice il "Memoriale Sergio!", un documento terribile e poco conosciuto quasi mai citato dalla storiografia ufficiale.
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Vincenzo Caputo, avvocato ferrarese, ha combattuto, giovanissimo, nelle Forze Armate della RSI; per molti anni Consigliere e per due volte Presidente della prestigiosa "Accademia delle Scienze’’ di Ferrara, è autore di numerose pubblicazioni di natura giuridica e storica.
L’Autore, tratteggiando la storia degli efferati omicidi e stragi premeditate e gratuite programmate e perpetrate a Ferrara e nella sua provincia, documentandone gli aspetti che fino ad oggi si sono voluti nascondere, oltre a rivelare gli orrori a cui sono scesi i partigiani prima di assassinare le loro vittime, esamina scientificamente gli aspetti giuridici delle attività delinquenziali di certe bande di "ribelli", poi chiamati "partigiani", prima, durante e dopo il 1945. Esamina quindi anche la questione della legittimità della Repubblica Sociale Italiana, giovandosi, "quasi paradossalmente" degli assunti ricavati da sentenze degli stessi tribunali di questa Repubblica, che si dice nata dalla resistenza, ma che sarebbe più giusto riconoscere venuta, o se volete, imposta dalle vittorie delle armi anglo-americane.
Concludendo, la giurisprudenza, citata da Vincenzo Caputo, una volta tornata, nel tempo, alla corretta interpretazione delle norme giuridiche, ha affermato: 1) che la Repubblica Sociale Italiana era lo Stato, «con il conseguente possesso di tutti gli attributi e poteri della sovranità […..] Stato sovrano politicamente e giuridicamente organizzato»; 2) «che il suo ordinamento giuridico aveva forza cogente per tutti i cittadini che ne facevano parte»; 3) che la Germania aveva titolo e veste di alleato e non di invasore; 4) che la RSI «emanava le sue leggi e i suoi decreti senza l’autorizzazione dell’alleato tedesco» Al contrario del cosiddetto "Regno del Sud" che era invece obbligato a sottoporre alla Commissione Alleata di Controllo ogni suo atto, anche semplicemente amministrativo; 5) che i soldati della RSI avevano titolo e veste di belligeranti; 6) che i "ribelli", o che altro dir si voglia, non avevano tale titolo e veste di belligeranti, talché erano sabotatori soggetti alle leggi di guerra, così come avveniva per i soldati della RSI fucilati dagli anglo-americani nell’Italia da loro occupata.
Francesco Fatica
NUOVO FRONTE N. 223 (2002)
 
 
Nidia Cernecca FOIBE IO ACCUSO
Edizioni Controcorrente, 2002, pag. 135.
 
Dalla copertina: La tragedia consumatasi in più riprese, prima e soprattutto dopo la fine del secondo conflitto mondiale nei territori dell'Istria, della Venezia Giulia e della Dalmazia, ovvero lo sterminio e la pulizia etnica degli italiani e di tutti coloro che si rifiutavano di sottomettersi alla dittatura comunista del maresciallo Tiro, rappresenta, dal punto di vista storlografico, una sorta di chiave interpretativa che ci permette di comprendere quanto è avvenuto in Jugoslavia durante e dopo il regime titino.
Lo sterminio degli istriani, in particolare, mette in luce l'esistenza di un piano comune d'azione tra i comunisti italiani e quelli slavi per l'instaurazione della dittatura e la contemporanea inesistenza del cosiddetto "patto antifAscista", sul quale si basò "l'arco costituzionale" e la Prima Repubblica.
Tale ambiguità consente di spiegare il criminoso silenzio politico e dei mezzi di comunicazione che ha gettato gli avvenimenti istriani, per quanto clamorosi ed inumani, per oltre 50 anni in una foiba senza fondo.
Il libro di Nidia Cernecca rompe questo silenzio con la forza della testimonianza diretta e racconta, con rara efficacia, i giomi della pulizia etnica attuata dai comunisti italo-slavi, coordinati da Ivan Motikal boia di Gimino e presidente del sedicente tribunale del popolo, del quale rimase vittima il padre dell'autrice e molti altri componenti della famiglia Cernecca.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, Nidia Cernecca ha trovato la determinazione per ritornare in Istria e, nonostante le minacce di morte, iniziare le ricerche che l'hanno portata ad identificare gli assassini del padre, che ha poi denunciato alla magistratura italiana.
Dopo una serie di ritardi e inammissibili silenzi, i responsabili sono stati rinviati a giudizio presso il Tribunale di Roma, che ha poi celebrato il processo a loro carico.
Mastrangelo Gianni IL COMPLOTTO COMUNISTA Le trame svelate e i servizi segreti. In appendice le schede del dossier Mitrokhin
Edizioni Controcorrente, 2002, pag. 262
 
Dalla copertina: Misteri d’Italia targati PCI.  La nuova inchiesta di Gianni Mastrangelo mette a nudo gli antri della Prima Repubblica, mostrando con evidenza le implicazioni di un complotto comunista nella tessitura di momenti oscuri della storia italiana.  Ne escono verità celate, surrogate da un ampia documentazione testuale che rende giustizia a quanti, controvento e per anni, hanno chiesto alle porte della Giustizia di rendicontare avvenimenti; sofferenze e stragi che hanno insanguinato la Patria, vergandola di bugie gommate dal silenzio. Finalmente un testo chiaro su anni oscuri, un libro di denuncia dei segreti e delle «verità di regime» che intere generazioni sono state costrette ad assorbire da una megamacchina concettuale che ha propinato agli italiani falsità e storture ideologiche.  Dai governi del dopoguerra alla Gladio rossa, alle grandi stragi e alle denunzie inascoltate, fino al sangue di Brescia e Bologna, alle imputazioni comode, un lungo itinerario di cassetti rivoltati fino a che la Verità, gridata dai tetti, raggiungendo il cuore del lettore, lo obbliga a comprendere che la Storia o è verità per tutti o non è storia. 
"Per Mastrangelo quanto il comunismo ha operato in Italia, puntualmente documentato nel testo, con dovizia di riferimenti, altro non è che la negazione dei valori fondanti della nostra civiltá.  Una ferita profonda all’Europa e al Mediterraneo.  Una ferita in cancrena per la cura della quale a nulla sono valsi i medicamenti della storiogrrafia irreggimentata degli «Intellettuali organici» né i loro «libretti rossi» maldestramente approntati, che non hanno superato la prova più grande, quella del Tempo, che fa restare o scomparire le cose egli scritti.
L'Autore, come nel suo stile, denunzia storture, raggiri ideologici e pratici, del comunismo complottante, conduce il lettore dinanzi a quella soglia di verità che, animata dalla voglia crescente di giustizia nella Patria, si rivela così diversa dai muri di gomma che per decenni hanno accompagnato e preceduto, come íntoccabili paletti, la formazione delle coscienze italiane.  Esplorando i territori di confine, Mastrangelo fa emergere precise responsabilità e faziosità, oltre che demeriti anche in chi arebbe dovuto vigilare e sanare questioni scottanti.  I «Signori della storia» confezionata non di rado si sono mostrati «sordi, muti, ciechi», come le famose tre scimmiette della filastrocca popolare che ha percorso il territorio nazionale insieme alle cose «più serie» delle diagnosi «prefabbricate» e «pronte all'uso»dei prontuari di storia patria.
dalla Prefazione di DONATO BRUNO, Presidente della Commissione Affari Costituzionali
della Presidenza del Consiglio e Interni della Camera dei Deputati
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Un contributo <<nato dalla vita e dai fatti>>. Si presenta così il testo del giornalista pugliese Gianni Mastrangelo  "Il complotto comunista. Le trame svelate e i segreti" (ed. Controcorrente, Napoli, pp. 263, euro 16,00), una puntuale inchiesta sul comunismo italiano, <<il dio che ha tradito>> come lo definì Ignazio Silone. Quel sistema che non ha avuto la sua <<Norimberga>>, e stenta a rendicontare alla storia il proprio opeuurato. L'Italia ha, in questo quadro fosco, le sue tinte d'ombra. L'autore esamina il rapporto tra il Pci ed Partito comunista sovietico. A Yalta, l'Italia non fu compresa nella zona di influenza comunista. Perciò si misero in atto altre manovre, ora svelate. Viene fuori l'uso politico dei sindacati, come anche la disinvoltura della sinistra rispetto ad una menzogna che sembra connaturata al suo agire politico. Tornano i visi, gli uomini ei percorsi. Uno dei passaggi, riferito alla Stay-Behind dice: <<Il perché Andreotti abbia deciso di parlare della Stay-Behind è ancora un punto oscuro della nostra piccola storia>>. Forse intendeva lanciare una ciambella di salvataggio al Partito comunista. Ci sono le molte pieghe di una magistratura politicamente orientata, che, oltre a costruire impalcature ideologiche, firma processi con la <<penna rossa>>. E poi la documentazione su Gladio <<casualmente ritrovata>>in particolari momenti. Di questa struttura di comando parallela a quella esistente, Francesco Cossiga ebbe a dire: <<con me sarebbero potute venire molte persone: Andreotti, Spadolini, Rognoni, Taviani, tutti coloro che hanno partecipato al governo di Stay-Behind>>. A seguire, la vicenda del colonnello Renzo Rocca, e soprattutto il <<Piano Solo>>, operazione dietro la quale c'era il Kgb e qualche giornale italiano. A quei tempi, <<il partito comunista consigliò ai suoi dirigenti di dormire fuori casa>>, ma poi furono gli italiani a trascorrere notti insonni per capire la verità e non narcotizzare le coscienze. Vengono alla luce anche storie importanti, come quella di Matteo Secchia, funzionario licenziato dal Pci dopo aver lavorato Botteghe Oscure per 37 ani tutti i giorni dalle 8 alle 21, rimasto senza liquidazione, con la moglie malata e una figlia a carico. Che dire di "Soccorso rosso", finanziato al 90 per cento dall'Unione Sovietica. E poi i teoremi sul terrorismo serviti a creare quel collant che terrà a battesimo il compromesso storico fra democristiani e comunisti, mentre <<i gruppi di destra arrivarono alla lotta armata solo come conseguenza e reazione alla guerra dichiarata loro dalle bande di sinistra>>. Basta rileggere le pagine di "Quex", un giornale pubblicato fra il 1977 e il 1979, considerato il bollettino dei detenuti della destra nazional-rivoluzionaria. Questo accadeva mentre ai tavoli delle Feste dell'Unità  i latitanti di sinistra mangiavano tranquillamente coi compagni di partito. Giorgio Bocca nel 1975 confessava che a lui quelle brigate rosse facevano un effetto camomilla <<per bambini scemi o insonnoliti: la favola è vecchia, sgangherata, puerile, ma viene raccontata con tanta buona volontà che non si sa come contraddirla>>.  Ecco una costante: la mistificazione della verità. Cadono altre bende. Veniamo così alla vicenda Moro. La sinistra non ha mai affrontato il discorso sul perché lo statista non sia stato salvato. Nei 55 giorni della sua prigionia, moro riscrisse la storia politica del nostro paese. Aveva raccontato delle ruberie, del doppiogiochismo della classe dirigente italiana. Una ricostruzione urticante, questa di Mastrangelo, che giunge sino a Giorgio Conforto, reclutato dal Kgb fin dal 1932.  In appendice vengono pubblicate le schede del Dossier Mitrokhin e anche qui le sorprese non mancano. Un libro sicuramente da leggere e da tenere tra i libri più importanti, per spiegare la storia diversamente da come molti, per anni, l'hanno raccontata.
SECOLO D'ITALIA Quotidiano del 15 Ottobre 2002 Storia e controstoria: Gianni Mastrangelo ripercorre in un libro i capitoli più oscuri della vicenda nazionale. Dal dopoguerra al dossier Mitrokhin, troppe le pagine ancora da leggere. Gerardo Picardo
De Simone Armando, Nardiello Vincenzo APPUNTI PER UN LIBRO NERO SUL COMUNISMO Dalla Resistenza al dossier Mitrokhin tutti i crimini nascosti della storia del Pci.
Edizioni Controcorrente, 2002, pag 333.
 
Dalla copertina: La storia non raccontata, negata, del Pci rappresenta, forse, uno dei "buchi neri" più grandi e importanti della vicenda politica del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi; una storia che non è stata semplicemente la storia di un partito, ma un pezzo della storia.  Troppe volte, coloro che si sono incaricati di descrivere questa storia, hanno voluto mettere in risalto solo le luci, presentando così una visione parziale di quelle vicende.  Compito di questo libro, al contrario, è quello di far risaltare le ombre, presentando l'intera vicenda del Partito comunista italiano nella sua interezza.
Dalla guerra civile ai preparativi per il colpo di Stato; dal rapporto con i cattolici all'eliminazione dell'antifascismo anticomunista; dall'esercito clandestino al legame con l'Unione sovietica; dall'improbabile "strappo" berlingueriano al dossier Mitrokhin fino alle attività di spionaggio del Kgb in Italia, questo libro è al tempo stesso un'ipotesi di lavoro e un invito.  Un'ipotesi di lavoro -corroborata da riscontri, documenti e testimonianze raccolte dall'interno e all'esterno del Pci - è che l'intera vicenda del partito di Togliatti sia tenuta da un unico filo che si riannoda nel quadro di una strategia che non scartò mai l'ipotesi violenta e autoritaria.  L'invito è agli storici di professione, affinché accendano i fari della ricerca per illuminare non solo gli angoli oscuri, ma intere stanze rimaste al buio della conoscenza e della memoria.  Per chiudere definitivamente la stagione dell'interminabile dopoguerra italiano e riannodare, così, i fili della memoria spezzata.
   
 
Pound Ezra. ATTUALITA' DEL PENSIERO NEL TRENTENNALE DELLA MORTE. 
Edizioni Aurora Libri. 2002. 286 pagine.
 
Il volume "EZRA POUND. Attualità del pensiero nel tentennale della morte" prende le mosse da un Convegno (il primo realizzato in Italia per l'anniversario1972-2002) tenutosi a Trieste il 25 maggio scorso e ideato dal Circolo Ezra Pound di Vicenza. Non si tratta, tuttavia, di una semplice pubblicazione degli atti, essendosi aggiunti molti altri contributi e memorie a quelli dei relatori originari, sino a disegnare un'immagine del grande poeta americano che, certo, non ha la pretesa di essere esaustiva, ma che comunque risulta quanto mai sfaccettata e variegata. Un'immagine della ricchezza, della complessità, soprattutto, dell'inesauribile attualità dell'opera di Ezra Pound a trent'anni dalla morte. Il capoluogo giuliano - che, come si è detto, è stato sede del Convegno originario - ha ispirato la memoria di saluto "And Trieste, ah Trieste" di Mary de Rachewiltz, nella quale viene descritto il lungo rapporto di Pound con Trieste. Rapporto costellato negli anni '20 da relazioni importanti, vista la presenza dell'amico Joyce ed i legami editoriali con Vanni Scheiwiller, che faceva allora la spola tra Venezia e la città di San Giusto, tra il poeta americano e lo scrittore irlandese… Trieste ove aveva, poi, sede la famosa libreria di Saba, alla quale per lungo tempo Pound era solito ordinare libri… Pound dunque, poeta di straordinaria attualità, forse proprio perché, intimamene e profondamente inattuale, ovvero autentico lottatore contro il suo tempo, contro lo Zeitgeist che tutto sembrava, e ancora, sembra travolgere e distruggere. Così, leggendo Pound, scopriamo che "Solo l'emozione resiste" come dalla Nota introduttiva di Roberto Floreani. L'emozione come mezzo per ritrovare se stessi e ritrovare, soprattutto, le ragioni di un'identità e di una cultura.
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Pubblichiamo in anteprima questo contributo di Daniele Lazzeri per il volume Ezra Pound: l'attualità del pensiero a trent'anni dalla morte che uscirà il 14 novembre edito da MetaSociale.
Ezra Pound: Tra l'Usura e l'Uomo.
"L'economia è una cosa troppo seria per lasciarla agli economisti". Questa frase di Ezra Pound ci fa comprendere la singolare Weltanschaung del poeta-economista americano. Le proposte in materia economica di Pound non vanno infatti intese come mera dimostrazione tecnica del fenomeno monetario. Non lo sono e non lo vogliono essere. La critica poundiana alla concezione "ortodossa" dell'economia prescinde infatti dal dottrinarismo teorico degli economisti di mestiere, impelagati nello studio di fredde formule econometriche in grado di calcolare gli effetti di determinati fenomeni senza mai riuscire ad indagarne le reali cause. Distinguere anche qui la "radice dal ramo". Ciò che conta è lo spirito con il quale si effettuano le scelte, la directio voluntatis, presupposto imprescindibile per la realizzazione di un'economia "volizionista". Il volizionismo, a cui Ezra Pound fa riferimento, prevede proprio la non necessità di leggi economiche, anzi, come fa notare Giuseppe Leuzzi, nella brillante prefazione all'"ABC dell'economia", si tratta di "adattamenti ai programmi, a quello che si vuole ottenere". Questo mese, il primo di novembre, ricorre il trentesimo anniversario dalla morte di Ezra Pound, impareggiabile profeta eretico di un'economia "giusta". Un'ideale di "giustizia" che assume ancor più significato se inserito nel contesto della "prospettiva ortologica" poundiana, quella dell'ideogramma confuciano cheng ming, la precisa definizione dei termini, e nondimeno in quel "giusto prezzo medievale" che don Luigi Cairoli aveva ben illustrato nell'omonimo libro. L'opera alla quale stiamo facendo riferimento portò il poeta ad un parziale avvicinamento con la dottrina sociale della Chiesa, da cui le citazioni di S. Ambrogio, S. Antonino e S. Bernardino da Siena presenti nei suoi scritti: "L'analisi dei motivi economici giova alla comprensione dell'avarizia. La brama del monopolio è un male radicale. Si manifesta nell'errore del prezzo ingiusto, condannato dalla dottrina economica della Chiesa durante tutta l'epoca del suo maggiore splendore". Dopo il nostro lavoro Ezra Pound Perforatore di roccia (Società Editrice Barbarossa, Milano 2000), anticipiamo in questo breve lavoro, i contenuti dell'intervento pubblicato nell'opera collettanea in uscita in questi giorni Ezra Pound. L'attualità del pensiero a trent'anni dalla morte (Edizioni Aurora Libri Vicenza 2002), tentando di fugare, attraverso l'approfondimento di alcune tematiche, dubbi e incomprensioni derivanti dalla complessità dell'opera poundiana, rispettando per quanto ci sarà possibile i dettami che Pound stesso poneva come necessari alla realizzazione di un'economia sensata.
Guido Rumici INFOIBATI
Mursia Editore - 2002
 
Dopo molti anni di silenzio e di colpevole dimenticanza da una parte consistente dell'opinione pubblica nazionale, finalmente la tragica vicenda delle foibe è stata riportata alla luce anche per merito di un volume pubblicato in questi giorni da Guido Rumici, docente goriziano che da diversi anni si dedica alla ricerca ed alla divulgazione della storia della Venezia Giulia, dell'Istria, di Fiume e dalla Dalmazia.
Il libro, pubblicato da Mursia Editore, si intitola "Infoibati" e racconta, per la prima volta in modo completo, l'intera vicenda delle foibe descrivendo nei particolari tutti i fatti inerenti questa tragica pagina della storia italiana. Gli anni della guerra, l'armistizio, la prima occupazione dell'Istria da parte dei partigiani di Tito, la prima ondata di violenze compiuta dagli slavi nel settembre-ottobre 1943, l'arrivo dei tedeschi, il 1944, l'inverno del 1945, la fine della guerra e gli eccidi e le stragi per mano jugoslava del 1945 e del periodo successivo (fino almeno al 1949), vengono descritti minuziosamente, con una ricostruzione precisa di tutti i singoli episodi.
Il quadro che il prof. Guido Rumici delinea si fa chiaro nella spiegazione e nell'interpretazione delle violenze perpetrate dai partigiani di Tito: si trattò infatti di un disegno studiato nei minimi particolari dai vertici slavi per eliminare tutti i possibili oppositori al progetto di annessione dell'intera Venezia Giulia alla nuova Jugoslavia comunista. Chiunque si fosse opposto, anche in modo passivo, a questo progetto avrebbe dovuto essere schiacciato. In tal modo si spiegano le deportazioni di migliaia di persone, arrestate spesso di notte nelle loro abitazioni, e deportate verso ignota destinazione, verso luoghi dai quali non sarebbero più ritornate.
Rumici descrive le varie modalità di uccisione, puntualizzando che non tutti gli sventurati furono effettivamente gettati nelle foibe, molti vennero fucilati e gettati nelle cave o in mare. Altri furono uccisi durante il tragitto verso i campi di concentramento o durante la lunga permanenza nel lager di Tito, nei quali molti finirono i loro giorni per le sevizie, le malattie, la fame e lo sfinimento. La tragedia riguardò non solo l'Istria, Fiume e la Dalmazia, ma pure Gorizia e Trieste (dalle quali, nel 1945, furono prelevate migliaia di persone) e le altre località della Venezia Giulia.
Di assoluto rilievo sono le testimonianze raccolte dal prof. Rumici tra i parenti delle vittime: le storie raccontate, una decina, servono a descrivere le paure, le sofferenze, le speranze, le attese e le angosce di chi a lungo, invano, cercò di raccogliere notizie sui propri cari.
I nomi citati, sia tra gli scomparsi, sia tra i sopravvissuti, sia tra i protagonisti di questa tragedia sono numerosissimi e danno finalmente il volto a tante persone ingiustamente dimenticate dalla "storia ufficiale".
Notevole la documentazione fotografica (oltre 70 immagini) e gli allegati tratti dagli archivi: spesso si tratta di documenti inediti di fonte inglese, slava e del Ministero degli Affari Esteri. Significativa è la dichiarazione fatta da un detenuto italiano liberato dalle prigioni jugoslave nel 1950, che testimonia l'esistenza in vita, ancora nel febbraio 1950, di esponenti di spicco della società giuliana dell'epoca, come il preside della provincia di Gorizia e vice podestà del capoluogo isontino, Gino Morassi. La Jugoslavia detenne in carcere, in modo del tutto arbitrario e in spregio ad ogni convenzione internazionale, cittadini italiani per lunghissimo tempo, comportandosi in maniera del tutto illegale ed arbitraria, fino a farli poi sparire nel nulla, senza mai dare alcuna spiegazione della loro scomparsa.
Più in generale tutti gli arresti, le deportazioni, le uccisioni, gli infoibamenti furono atti di criminale violenza con cui si cercò anche di eliminare la presenza italiana in quei territori che i partigiani comunisti e la relativa polizia segreta (l'OZNA), assieme ai fiancheggiatori locali, vollero annettere alla Jugoslavia di Tito.
"Infoibati" è un volume nato con il preciso intento di divulgare presso il grande pubblico, con un linguaggio semplice e lineare, una pagina dolorosa della storia d'Italia rimasta troppo a lungo celata sotto una coltre di silenzio. Per tale motivo andrebbe diffuso e letto anche, ma non solo, dalle giovani generazioni, magari nelle scuole, per contribuire a far conoscere e capire i motivi che spinsero oltre trecentomila persone a lasciare le proprie case ed i propri beni per fuggire ad un regime, quello di Tito, che venne immediatamente percepito come ostile e pericoloso da buona parte degli Italiani del confine orientale.
Recensore: R. Rizzatto 
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E’ un tema impegnativo quello che Guido Rumici affronta e approfondisce nel suo ultimo volume dal titolo "Infoibati’’, recentemente pubblicato da Mursia Editore.
Si tratta di un lavoro scrupoloso che, nella complessità dell’argomento, cerca di fornire, con obiettiva chiarezza e serena imparzialità, un’analisi delle vicende drammatiche che sconvolsero negli anni dal 1943 al 1945 la Venezia Giulia e la Dalmazia, con l’eliminazione fisica di tutti coloro che potevano rappresentare un ostacolo alle mire espansionistiche della Jugoslavia di Tito.
Sulla scorta di documenti di fonte italiana, jugoslava ed inglese, spesso inediti, l’autore traccia un quadro minuzioso ed esaustivo della situazione politica e sociale della Regione Giulia e delle tensioni ideologiche che caratterizzarono il determinarsi degli eventi che travolsero migliaia di cittadini giuliani e dalmati.
"Infoibati’’ è un lavoro forse senza precedenti, che racchiude l’orrore di un dramma e che, attraverso testimonianze di prima mano e documentazioni di varia fonte, offre una sintesi completa di eventi che per decenni sono stati ignorati dalla storiografia ufficiale.
Il pregio della ricerca del prof. Rumici è quello di illustrare una pagina di storia nazionale finora poco conosciuta dall’opinione pubblica italiana. L’opera si completa con numerose appendici che riportano le interviste a persone che furono coinvolte in quei tragici fatti, nonché un’ampia selezione di documenti scelti, un’utile cronologia ed una ricca bibliografia con gli indispensabili indici analitici.
Il libro, pur nella meticolosità dei particolari, nella ricerca scrupolosa ed obiettiva e nella difficile valutazione delle fonti, risulta di facile lettura per lo stile semplice e lineare che lo contraddistingue e anche per la ricca documentazione fotografica (oltre 70 foto) che lo correda.
Sarebbe auspicabile che il volume "Infoibati’’ trovasse ampia diffusione soprattutto tra i giovani studenti che poco conoscono della storia del secolo appena concluso.
Giuseppe Bugatto
NUOVO FRONTE N. 225 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
Franco Franchi LA LIBERTÀ NEL FASCISMO
I quaderni di Storia Verità, Edizioni Settimo Sigillo, Europa Libreria Editrice, Via Sebastiano Veniero 74/76, 00192 Roma, Tel. 06/39722155 Fax 06/39722166, Pag. 101 euro 8,00, 2002
 
Il fascismo conobbe la libertà? Il quaderno che vi furono ampie aree di libertà nei più importanti settori della vita pubblica (insegnamento universitario, magistratura, parlamento, riviste dei GUF e riviste "eretiche", "le critiche" parallele di CRoce e Bottai, la libertà nella RSI, la libertà dalla paura), e indica le sorprendenti testimonianze di due grandi (antifascisti) della cultura italoana: Benedetto Croce e Francesco Flora.
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Questo quaderno è dedicato a Giuseppe Niccolai, amico e camerata di fede dell’Autore, nel ricordo di Berto Ricci e di tanti altri che hanno condiviso e condividono un concetto di società operativa, produttrice di progresso e dalla forte connotazione creativa.
Il Fascismo ha fondato la sua autorità con il consenso delle masse, che andava oltre il metodo elettorale, ma proprio per questo seppe mantenere degli spazi di libertà per coloro che volevano affermare dignitosamente il proprio pensiero. Non furono pochi gli Autori dissidenti che trovarono rifugio ed ospitalità proprio nei fogli di matrice fascista. Benedetto Croce e Francesco Flora nel campo della filosofia e della letteratura sono testimonianze di libertà di pensiero. Certamente fu posta in opera una maggiore severità nei confronti dei social comunisti legati ad una potenza egemone come l’Unione Sovietica, ma anche in questo campo furono operate delle distinzioni sul grado di pericolosità individuale. Le Università furono una fucina per quei giovani che anelavano ad una più decisa azione nel campo sociale e che, alla caduta del fascismo, formarono l’ossatura dei Partiti che si proposero alla guida del Paese. Nel volume presentato sono ben individuate ed esposte le aree di libertà e di critica al fascismo. Per non invischiare la Magistratura nella politica di partito, fu creato il tribunale speciale e durante il periodo della RSI i magistrati furono esentati dal prestare giuramento alla Repubblica stessa. Il Mussolini della Repubblica Sociale fu notevolmente interessato alla stesura di una costituzione che lasciasse ampi spazi all’eleggibilità delle rappresentanze popolari per dare una risposta alle giovani generazioni che chiedevano un cambiamento di rotta nel governo della nazione, contro il gerarchismo e l’arrembaggio ai posti di potere.
Il libretto pone bene in evidenza la complessa realtà della libertà nel fascismo, in qualche modo attenuata per un concetto di libertà superiore e non interessata alle beghe dei potentati politici, rivolta ad assicurare un’ordinata convivenza civile, tesa al benessere economico, al progresso in ogni campo, dalla medicina ai trasporti, dalla vivibilità nelle grandi città alla diffusione della cultura e dell’arte, dalla sicurezza nelle strade alla dignitosa cura per i più poveri. Questa fu la tirannide dalla quale fu liberato il popolo italiano, che rispondeva con il consenso al Regime.
Dopo la liberazione tutto tornò allo stato brado: corruzione, malaffare, prostituzione, mafia, caos nelle città, caos nelle scuole, nei trasporti, nel campo della sanità, nelle istituzioni. Tutti parlano, propongono, protestano, impongono; governare è quasi impossibile. Viva la libertà!
NUOVO FRONTE N. 226 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
 
 
Calamai P, Pancaldi N., Fusco M. MARO' DELLA DECIMA X FLOTTIGLIA MAS.
Editrice Lo Scarabeo. 2002.
 
Dalla copertina: Quasi tutti coloro che, storici o pseudo storici, hanno voluto navigare nel mondo della X Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana, hanno narrato sempre le vicende militari di quelle Unità di mare e di terra che si erano rese protagoniste difatt ormai ben conosciuti, per cui sembrerebbe inutile tornare a Sparlarne.  Ma questo libro non si prefigge uno scopo storico.  La lettura di quanto scrivono i tre "Marò " ci porta in altra direzione e cifa chiedere ancora una volta: "ma cos'era la X Flottiglia MAS, di cui si continua a parlare (nel bene e nel male) anche oggi, dopo sessant'anni dagli avvenimenti che l'hanno vista protagonista su varifronti?  ". I documenti ufficiali reperiti nei vari Archivi dello Stato e della Marina parlano di poco più di diecimila uomini, tutti raggruppati nei vari Comandi, Battaglioni, Unità navali.  Ma nell'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare esiste un doc ento che denuncia come la Regia Marina, appena cessate le ostilità, abbia sottoposto ad inchiesta non meno di ventimila uomini, tra Ufficiali, Sottufficiali, Sottocapi e Comuni.  Ne mancherebbero all'appello diecimila.  Tra questi diecimila c'è Natalino Pancaldi, uno dei tre "Marò " autori di questo libro, appartenente al Btg Vega.  Dai metodi d'azione del "Vega " e dal racconto di Pancaldi si può, con una buona dose di certezza, arrivare a comprendere lo scopo di quella missione.  Un lettore distratto può chiedersi in cosa siano consistite "le grandi avventure del gruppo Z", dopo aver letto di quell'andirivieni tra Como e Bologna di sei sfaticati ventenni in abiti civili, su di uno scassatissimo camioncino, di quell'andare a Bologna o a Modena in casa propria, addirittura nei giorni dell'arrivo delle truppe alleate. "Stay behind!", questa era la tattica del " Vega ". Piero Calamai e Mario Fusco sono due marò, entrambi toscani, del Btg Barbarigo.  Piero Calamai ha veramente azzeccato il titolo del suo racconto: " Vecchia pelle ", ma quell'aggettivo è valido solo se riferito ai giorni nostri, quando lui è ormai quasi  tantenne, perché la sua "classe di ferro 1923" denuncia quanto, invece, fosse imberbe la pelle del suo viso quando hanno avuto inizio le sue movimentate vicende, a diciotto anni.  Vicende movimentate, sì, ma che diventano incredibili se rapportate al su fisico non propriamente atletico.  Sono una novantina di pagine dalla prosa incalzante, in cui affiora sempre lo stile toscano. Fusco, al contrario di Calamai, non narra le proprie vicende, ma presenta alcuni racconti quasi tutti sotto forma di lettera, basati su episodi diversi e con stile diverso, episodi che attraggono non tanto per le persone ivi descritte, ma per l'ambiente n cui si muovono e per l'atmosfera che le circonda.  Al contrario dello "sgricilato " Calamai, Mario Fusco, pure se anche lui appena sedicenne, ha un fisico da lottatore, eccezionale, che gli ha permesso di affrontare e superare sforzi incredibili, come la leggendaria marcia di oltre cinquanta chilometri attraverso l'altipiano innevato della Bainsizza. Questi racconti così diversi, fatti da protagonisti della recente Storia d'Italia (anche la RSI era ITALIA!) in così diverse e disparate situazioni, richiamano appunto l'interrogativo iniziale: "cosa era la Decima? Chi erano i Marò della X Flottiglia MAS?". 
Cerati Mirko UN BERSAGLIERE DELLA R.S.I.
Editrice Lo Scarabeo. 2002.
 
Dalla copertina: Il protagonista del diario è un Bersagliere della RSI, 7a Cmp del Il Btg (già XX) con compiti di Difesa Costiera; un Reparto di 500 Volontari al quale viene affidato, insieme ad altri, il difficile ruolo di proteggere la legalità dello Stato sul ponente ligure e, insieme a truppe tedesche, di contrastare invasioni nemiche dalla Provenza.  Prima che si attui lo schieramento su zone contigue della Divisione "San Marco", opera anche contro bande di ribelli che gli invasori stavano promuovendo e alimentando per loro fini militari e che col tempo si gonfiano di disertori della RSI e di alcuni Reparti ausiliari della Wehrmacht. La ragione di scrivere e divulgare questo diario di guerra 1943-45 è ben chiara nelle prime pagine. L’autore si indigna quando viene a sapere nel dopoguerra della tragica fine di tutti i 10 commilitoni catturati a Ceriana il 30 settembre 1944, con le larghe complicità del momento, e della stessa sorte capitata ad un numero imprecisato ma rilevante degli altri 28 catturati un mese prima assieme a lui e al commilitone in compagnia del quale riesce poi a fuggire dalla prigionia.  Fra essi, il modesto eroe Luigi Visconti obbligato dai ribelli il 30 settembre a parlamentare con i rimasti in caserma a Ceriana e tornato indietro con un "no" che significava anche la condanna a morte sua e degli altri in prigionia. Questi episodi e i crimini collegati lo spingono a questa testimonianza-denuncia.  Seguendo quella leale ingenuità che è propria ai Combattenti dell'Onoire, dettaglia piccoli e grandi avvenimenti ai quali ha partecipato, talvolta in modo avventuroso. Fa anche di più.  La diretta conoscenza dei fatti gli permette di controbattere a quei falsi storiografici ancor oggi tanto abilmente montati e diffusi sia ad Imperia che nel resto dell'Italia.  Propone inoltre confronti fra l'efficiente struttura militare tedesca che lo ha assimilato e che lo porta in salvo contro quella italiana, nonostante il volontarismo nella RSI. Il diario, pur facendo conoscere eventi marginali ma rivelatori di uno spirito di sacrificio che inorgoglisce, è un forte contributo alla memorialistica della RSI e dei Bersaglieri Volontari che combatterono sulla riviera ligure di ponente e sul confine francese.
Curatola Giovanni RITMI LITTORI.
2002. Pag. 296, 105 illustrazioni, euro 19,00, Aurora Edizioni Casella postale 4/2 27049 Stradella (Pavia) Fax 0385 278819
Rivisitazione del fenomeno fascismo attraverso la sua produzione canora, con i testi di 263 canti e le varianti con cui vennero interpretati. Nel libro vengono riportati i testi di 40 Inni della Repubblica Sociale (Esercito Repubblicano, Guardia Nazionale Repubblicana, Decima Mas, Brigate Nere, Legione Autonoma Mobile "Muti", Servizio Ausiliario Femminile). 
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Dalla copertina: La canzone non modifica la storia. Essendone un prodotto, aiuta però quasi sempre a raccontarla.  C'è chi ritiene che la biografia di un popolo risiede per buona parte nella sua produzione canora: c'è da credergli. Utilizzare quest’ ultima come chiave di lettura per la rivisitazione di un periodo delicato della nostra storia, quale quello contraddistinto dal fenomeno fascismo, è il fine ultimo del presente volume.  Ultimo giacché il reperimento ed il commento dei suoi inni, sinora rintracciabili qua e là ma mai inseriti in una raccolta organica, costituisce già di per sé motivo di pubblicazione. Esaminato, sviscerato, passato in ogni sua sfaccettatura sotto ogni lente analitica inevitabile spartiacque rispetto cui le generazioni sue contemporanee hanno dovuto necessariamente schierarsi e quelle successive assumere posizione critica, il fascismo presenta nella sua florida attività canora zone per buona parte ancora in ombra. 0 almeno cosi e parso all autore, spinto conseguentemente dall’ esigenza di preservarne il bagaglio Musicale in modo quanto più completo possibile. Perché il fascismo fu anche canto.  Canto ora cupo ora tenero, ora allegro ora disperato, ora sereno ora minaccioso.  Specchio fedele di due generazioni di italiani e del loro, più o meno grande, trasporto emotivo.
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Chi non ha sentito le fresche note di "Giovinezza’’ almeno una volta? E "Faccetta nera’’ non fa sorridere di compiacimento, con la sua aria ingenua, che ci mostra paradisi africani nell’attesa d’essere liberati dalla schiavitù dei Ras e del Negus? E le commoventi canzoni di guerra, di spose e di mamme nell’attesa che torni il loro soldato? Vincere, Carovane del Tigra i, la canzone di Maria Uva (splendida italiana che seguiva le navi, che trasportavano le truppe in Africa Orientale, lungo il Canale di Suez cantando le canzoni della Patria), la canzone dei sommergibili, fino alle canzoni disperate e commoventi della Repubblica Sociale Italiana, sono le tappe canore di un popolo che ha creduto nel futuro, rimasto deluso dagli eventi e colpito nelle speranze, caduto vittima della guerra civile, che ancora oggi continua negando la verità storica.
Con grande fatica l’Autore ha raccolto duecentosessantatre testi di canzoni e le offre al lettore con gli opportuni commenti storici, perché si colga il significato d’ogni canzone, e spesso li accompagna con fotografie che inquadrano gli eventi del momento.
L’impianto del testo è su sette capitoli che inquadrano tutto il Ventennio, la RSI, e un’appendice
NUOVO FRONTE N. 222 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 
LA SCUOLA PUBBLICA NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA Riccardo Lazzeri
I edizione Ottobre 2002 - Pag. 254 - Euro 18 - ISBN 88-86818-85-8 Asefi Editoriale srl - Terziaria
 
"Per ragioni politiche non ho mai punito o destituito nessuno: e non si vorrà credere che fossi così ingenuo da non sapere chi erano in ogni istituto i professori antifascisti e che esercitavano azione antifascista.
...
Ho difeso le Università e i singoli docenti dalle accuse e dalle persecuzioni: mi sono opposte sempre ad ogni arbitraria ed offensiva richiesta delle autorità nostre e, tanto più, di quelle germaniche. A queste ultime mai nulla ho concesso: se fatti sono avvenuti (e, per fortuna, non molti) su cose e materiali universitari, ho sempre elevato le più alte ed energiche proteste.
...
Quando furono istituiti i tribunali, così detti fascisti, per giudicare coloro che si erano pubblicamente manifestati, con telegrammi e con ordini del giorno, contrari al regime, e furono denunciati numerosi professori universitari a Genova, a Modena, a Pavia, a Milano e a Torino, andai personalmente, più di una volta, in ciascuna di queste città e curai la cosa con tanta passione e con tanta energia, assumendomi di tutto e di tutti diretta responsabilità, che nessun professore universitario fu giudicato e le pratiche furono archiviate".
***
COSI' SI STUDIAVA NELLA SCUOLA DELLA RSI
Luciano Garibaldi
Dopo una ricerca costata tempo, attenzione, cultura e fatica, Riccardo Lazzeri, apprezzato storico della Rsi (suo un noto e approfondito studio sull'economia di Salò), pubblica ora "La scuola pubblica nella Repubblica Sociale Italiana", uno studio approfondito sulle vicende della scuola italiana nei drammatici 18 mesi dell'ultimo fascismo. 
Una ricerca come quella di Lazzeri non poteva che essere strettamente collegata alla vita e all'opera del ministro dell'Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini, una grande personalità che viene via via sempre più conosciuta e apprezzata (è fatta oggetto di numerose tesi di laurea, mentre a La Spezia è sorta, per iniziativa del nipote che porta il suo stesso nome, e di un gruppo di intellettuali, l'"Associazione Culturale Carlo Alberto Biggini", presieduta dall'onorevole Gaetano Rasi. 
Come opportunamente nota Lazzeri, "Biggini resse con molta liberalità e tatto il dicastero; volle la scuola pacificatrice delle conoscenze e cementatrice della compagine sociale, impedendo qualsiasi pressione politica nell'ambiente scolastico, specie in quello universitario. Il suo primo atto di rilevante significato politico fu la conferma in carica di tutti i rettori che erano stati nominati dal governo Badoglio. (…) Esentò i professori universitari dal giuramento di fedeltà alla Rsi, ma lo pretese in funzione di difesa dell'italianità dalle inframmettenze tedesche, da tutti i presidi delle scuole dell'Alto Adige e del Litorale Adriatico". 
Come provato anche dal fatto che gli scolari e gli studenti furono esentati sia dal saluto fascista sia dall'indossare la divisa della Gil (Gioventù italiana del Littorio), Biggini abolì il legame scuola-politica poiché - sono parole sue - "l'ideale politico della scuola non è un ideale contingente, ma un ideale educativo, un ideale storico". A conferma di questo orientamento , la sua prima direttiva al mondo della scuola prevedeva "l'allontanamento dalla cattedra di quei professori che si servivano della cattedra per manifestare idee politiche dannose alla compagine nazionale, alla fede religiosa, alla famiglia, all'umanità". Chiunque, non nutrendo nostalgie comuniste, abbia oggi un figlio in età adolescenziale non potrebbe desiderare di meglio, vista l'arena politica in cui sono state trasformate le nostre aule. 
Spulciando ancora tra le direttive del ministro, se ne scoprono numerose di profondo significato, come quelle relative alla scelta della Facoltà universitaria (non più lasciata all'arbitrio dello studente, ma vincolata all'esito dell'esame di maturità), all'obbligo di frequenza ("conditio sine qua non" per non decadere dal diritto di considerarsi studenti universitari), ai doveri degli insegnanti (legati a "un trinomio di obblighi: fare lezione; curare costantemente la preparazione degli allievi; produrre scientificamente). 
Ancora oggi non si leggono senza emozione le parole della famosa circolare ministeriale del 7 luglio 1944 dal titolo "Valori tradizionali della scuola italiana". Non una sola volta viene menzionata la parola "fascismo", ma vi si possono leggere esortazioni nobilissime come questa; "Mentre tutto sembra crollare intorno a noi, e le fondamenta stesse della civiltà europea sono profondamente e seriamente scosse, la Scuola rivendica a sé il diritto e la responsabilità di difendere e custodire l'integrità spirituale del Paese, al fine di preservare il popolo italiano dal pericolo di essere assorbito da uno straniero, nemico di tutto ciò che abbiamo ereditato di più caro e prezioso dai nostri padri". Diretta agli Alleati che massacrano dal cielo 200 bambini, come a Gorla, o ai tedeschi che annientano interi paesi come Marzabotto? O non piuttosto a entrambi? 
Sulla stessa linea, quest'altra esortazione: "Dovrà pur venire il giorno in cui la nostra Patria resterà per lungo tempo in alto (…). Soltanto con l'educazione noi riusciremo a far si che il nostro popolo non viva più di sensazioni e di stati d'animo, ma di principi, non più di istinti ma di forza morale, di una profonda e intima morale politica. Ossia capace di decidersi non per l'impressione subitanea del momento, senza memoria del passato e senza un'idea dell'avvenire". 
Belli e intrisi di umana pietà i capitoli che Lazzeri dedica ai Caduti della scuola della Rsi (da Giovanni Gentile a Pericle Ducati, a Goffredo Coppola, alle decine di professori uccisi con un colpo alla schiena dai comunisti prima e dopo il 24 aprile '45), alla orribile strage degli innocenti (il bombardamento della scuola di Gorla), alle riuscite operazioni poste in atto da Carlo Alberto Biggini per sottrarre alle mire tedesche il patrimonio artistico di proprietà dello Stato italiano.
Il Secolo d'Italia 2/25/2003
APOLOGIA DEL TIRANNO Padre Pellegrino Santucci
Istituto per la Storia d'Italia del XX Secolo - Roma, 2002.
 
Pellegrino Cesio Santucci è nato a Montecastello di Mercato Saraceno (Fo) il 9 Gennaio 1921. Entrato nell'Ordine dei Servi di Maria nel 1933, ha compiuti gli studi teologici a Roma. Ivi fu ordinato sacerdote il 9 Luglio 1944.
Nel 1945 si iscrive alla scuola di composizione nel Conservatorio Rossini di Pesaro, dove si diploma nel 1949. Nel 1947 viene chiamato a dirigere la Cappella Musicale Arcivescovile di S. Maria dei Servi di Bologna.  Ne rinnova subito gli organici e i programmi e con la stessa Cappella tiene centinaia di concerti in Italia e in Europa.  E' stato docente di composizione nel Conservatorio G. Rossini (Pesaro), B. Marcello (Venezia), L. Cherubini (Firenze) e nel Pontificio Istituto di Musica Sacra (Roma).
E' autore di numerose composizioni vocali-strumentali per lo più inedite; altre invece sono state pubblicate dalle editrici Carrara, Berben, Ricordi, Bongiovanni, Laus Decora, Zanibon, Marianum, Eco, Pefers, N.C., Cappella Musicale S. Maria dei Servi, N.S. di Loreto.
Diverse di queste composizioni sono state premiate in concorsi nazionali e internazionali.
Oltre alle numerose composizioni ha pubblicato molti libri di carattere religioso-sociale.
Ricordiamo: "La Repubblica di Pilato", "Berlinguer ed il Confessore", "Se Cristo tornasse", "Il lievito dei farisei". Recentemente "Pepe e sale" e "Quante balle".
Decine gli articoli per vari giornali, significative quelli per "Ovest-Documenti" dove, in gran parte ha rivelato le sue esperienze fra i Frati Volanti del Cardinale Lercaro.
Quest'ultima sua monumentale opera "Apologia del Tiranno", fa il punto definitivo su Benito Mussolini, la sua umanità, la sua Opera, la sua innegabile grandezza, la sua collocazione storica quale gigante senza confronti del XX Secolo.
Per la sua vasta attività di studioso e di storico a Padre Pellegrino Santucci è stato assegnato il premio alla cultura da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica.
Dalla Prefazione
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Padre Pellegrino Santucci APOLOGIA DEL TIRANNO
Padre Pellegrino Santucci e Benito Mussolini Ritrovare nella spiritualità del fascismo attinenze coi dettami religiosi del cristianesimo, è operazione oggi assai dimenticata, non per Padre Pellegrino Cesio Santucci, nato a Montecastello di Mercato Saraceno (Forlì) il 9/1/1921, Servita dal 9/7/1944 a Roma, diplomato in composizione al Conservatorio Rossini di Pesaro nel 1949.
L’autore studia Benito Mussolini sia nella sua "Opera omnia’’, sia nell’azione di governo nazionale e internazionale, estrapolando le parti più salienti per un giudizio imparziale, dopo il confronto con la verità evangelica. E così lo propone ai lettori per educarli, fuori dalla mistificazione democratica.
Fatica improba, perché presuppone alla base ricerca di documenti diplomatici, disposizioni di partito, trattati, cronache giornalistiche di allora.
E il Santucci evince un Mussolini genuino, autentico, nuovo, originale.
Soprattutto un Mussolini sollecito della giustizia verso tutti, specie i più diseredati (pensiero dominante esistenziale) come del pari attento alla pace religiosa e sociale, essendo gli italiani tutti figli di una stessa Italia.
E dove si cela la redenzione della terra dalle paludi di malaria, se non nella santificazione del lavoro? Se proverbiale è sempre stato il suo disinteresse per il danaro, il Santucci evince altresì la sua solerzia per il danaro da corrispondere ai lavoratori che, attraverso Carta del Lavoro, Corporazioni e Socializzazione, erano financo da lui portati a dirigere l’impresa coi tecnici e i datori di lavoro, caso unico nella storia della questione sociale.
L’autore sviscera fra l’altro la sua lungimiranza in difesa della pace contro l’occhiuta protervia anglofrancese, sottolineando quel patto a quattro a Monaco, quando l’Europa ebbe ancora speranza, rimarginando parte di antiche ingiustizie.
Tratta inoltre il frate il Mussolini nella sua aspirazione religiosa, partendo dall’ateismo e anticlericalismo socialista, per ravvisare la sua inappagata sete di conoscenza, come pure discute il prefatore Roberto Zamboni.
"Apologia del tiranno’’ (tale il titolo in chiave paradossa e ironica) è edito dall’Istituto per la Storia d’Italia del XX secolo, 2001 Roma, a cura del Centro Studi Mussoliniani.
468 pagine di testo, indice analitico, fotografie anche a colori, compendiano il travaglio del Santucci che, in nome della verità storica, non risparmia scudisciate ai viscerali antifascisti, siano essi politici, intellettuali e tonsurati, onde inverare l’operazione di recupero del vero Mussolini in sintonia ai valori eterni del nostro destino.
Mario Varesi 
NUOVO FRONTE N. 230 (2003) 
I CADUTI PER LA CAUSA NAZIONALE  
Circolo Culturale Corridoni. 2002.
 
Il Circolo Culturale Filippo Corridoni ha curato la pubblicazione del volume  "Per l'Italia. I Caduti per la Causa Nazionale (1919-1932)". In 208 pagine sono presenti 769 sintetiche biografie dei Caduti in 92 provincie italiane, nonchè in Jugoslavia, Francia, Belgio, Lussemburgo, U.S.A. e Argentina. In appendice: I Caduti di Fiume, I Caduti del Teatro "Diana", I Caduti di Empoli, I Carabinieri Caduti (1919-1922) e I Caduti 1933-1941.  Il libro, con copertina plastificata a colori, è corredato da 126 illustrazioni.   
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Circolo Culturale "F. Corridoni’’
L’opera può essere richiesta al Circolo Culturale "F. Corridoni’’, Casella Postale 109 43100 Parma oppure filippocorridoni@libero.it (offerta minima e 12,00)
In occasione dell’80° della Marcia su Roma Massimo Zannoni ha curato per il nostro Circolo la stampa del volume "Per l’Italia. I Caduti per la Causa Nazionale (1919-1932)’’ Si tratta di un’opera che copre un vuoto storiografico, poiché nel dopoguerra, a quanto ci consta, non è mai stato pubblicato alcun libro che elencasse TUTTI i Caduti del periodo della Rivoluzione.
Nel volume non solo sono presenti tutti i Caduti, ma di essi viene pubblicata una breve biografia. Si tratta di persone cadute in ben 92 province italiane (praticamente quasi tutte) e all’estero (di questi Caduti si è sempre parlato poco, ma risultano essere ben 45 nel periodo esaminato).
I dati sui Caduti sono stati tratti da testi fascisti, che potremmo definire "ufficiali’’, scritti in base alle comunicazioni fornite da ciascuna Federazione Provinciale. Poiché notoriamente ogni Federazione tendeva a fornire il maggior numero possibile di Caduti, è presumibile che negli anni a venire non vengano reperiti nuovi nominativi, per cui l’opera potrebbe costituire uno strumento di consultazione sempre valido.
NUOVO FRONTE N. 223 (2002)
     
 
Daniele Lembo TARANTO … FATE SALTARE QUEL PONTE. STORIE DI NUOTATORI PARACADUTISTI, GUASTATORI E SABOTAGGI
MA.RO Editrice Pagg., 110 Euro 8,00
 
"Il presente lavoro, privo di ogni ambizione letteraria, nato dalla primitiva idea di raccontare la storia inedita di un solo Nuotatore Paracadutista del San Marco, si è poi lentamente trasformato in un breve viaggio nella storia dei guastatori della Regia Marina nel secondo conflitto mondiale, a prescindere dal fronte per il quale combatterono, con brevissime puntate sugli altri reparti di Arditi guastatori appartenenti ad altre Armi. Vuole essere, pertanto, un omaggio al soldato italiano, ma soprattutto a quei magnifici militari che furono i NP guastatori di marina, i quali , certamente, fecero di più di quello che il loro dovere ed il loro onore militare richiedeva."
Queste sono le motivazioni che hanno spinto l’autore a comporre quest’opera interessante e precisa. Daniele Lembo, già autore di "I Fantasmi di Nettunia - I reparti della R.S.I. impegnati sul fronte di Anzio - Nettuno" e "I servizi segreti di Salò" (MA.RO, 2001), oltre a numerosi articoli per le riviste "Storia del Novecento", "Storia del XX secolo", "Storia e Dossier", "Aeronautica", "Aerei nella Storia", "Eserciti nella Storia", "Storia & Battaglie" e "Storia Verità", è un grande appassionato di storia militare della seconda guerra mondiale, in particolar modo della partecipazione ad essa da parte dell’Esercito Italiano.
Oggetto di ricerca di questo libro sono i reparti guastatori degli NP (Nuotatori Paracadutisti) della Fanteria di Marina del San Marco. Vengono descritte puntualmente e con precisione la creazione, le attività prima e dopo l’8 settembre, i battaglioni, le azioni e il tentativo d’assalto e sabotaggio del ponte mobile di Taranto, fino alla resa avvenuta a Venezia nel 1945 agli Inglesi e al San Marco del Sud. In appendice si trovano cinque interessanti allegati a corredo del testo: 1) La resistenza fascista nel sud Italia; 2) Il decalogo della Xa Flottiglia MAS; 3) Inno degli Incursori; 4) Preghiera del paracadutista; 5) Inno della Xa Flottiglia MAS.
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Un testo per soddisfare le legittime curiosità di un lettore al quale è stata "inflitta’’ la storia scritta dal vincitore, per scoprire un mondo di soldati generosi, di amanti dell’Onore e della Libertà della Patria e non individui dai valori indefiniti, travolti nelle spire della guerra. L’Autore fa una sintesi sulla costituzione dei primi reparti di paracadutisti e di arditi nuotatori che sorsero dopo una lunga polemica tra le Forze Armate per quanto concerneva il loro addestramento, inquadramento ed impiego.
Le difficoltà furono notevoli, coinvolgendo la scelta dei materiali che dovevano corrispondere a precise specifiche di costruzione e d’impiego, il profilo del personale istruttore e la sede d’addestramento. L’impiego del paracadute IF41SP risolse il problema di un lancio sicuro, la sede prescelta fu Tarquinia e gli Ufficiali Istruttori, per quanto riguardava la preparazione preatletica, furono scelti fra quelli usciti dall’Accademia della Farnesina.
Le tre Armi inviarono i propri volontari per costituire i reparti di specializzati, che loro competevano, per la specificità dell’impiego nell’ambito della Forza Armata.
Si calcola che a Tarquinia conseguirono il brevetto di paracadutista militare circa 22.000 uomini.
Si trattava del fior fiore della gioventù italiana, seconda a nessuno, che fu sacrificata da una visione statica della condotta della guerra da parte di uno Stato Maggiore concettualmente rimasto alla prima guerra mondiale.
Anche la Marina e l’Aeronautica costituirono dei Reparti che completarono il loro addestramento di specialità con il conseguimento del brevetto di paracadutista. Nel campo specifico della Marina, presso villa Letizia a Livorno, furono addestrati gli N che in seguito divennero NP (nuotatori paracadutisti) con la successiva appartenenza al Battaglione San Marco.
L’autore nel volume presentato ha trattato, in esteso, la storia degli NP comandati dal Capitano del Genio Navale Nino Buttazzoni. I settori operativi d’impiego comprendevano azioni di sabotaggio contro bersagli strategici, la costituzione di teste di ponte e la distruzione o la rimozione delle difese portuali. I Nuotatori Paracadutisti del San Marco furono addestrati in operazioni di sbarco in previsione di uno sbarco a Malta. Gli NP furono impiegati anche come sabotatori ed informatori fino all’8 settembre, conducendo numerose azioni riportate nel testo.
La data dell’armistizio segna pure la divisione del Reparto fra il Nord ed il Sud senza lacerazioni personali ma con sofferta dignità. La sede naturale di chi scelse la RSI divenne La Spezia presso la Decima MAS di Borghese. Le vicende degli NP del Nord esaltano la figura di Soldati, il cui impiego fu multiforme ed intenso, che seppero affrontare la morte ed il pericolo con cosciente determinazione, pur senza illusione di vittoria, senza venire meno all’etica militare, soffrendo, nel profondo del cuore, la guerra civile aizzata da loschi figuri che anteponevano il trionfo del comunismo alla vita della Patria. Il volume scritto da Lembo è sufficiente per rivedere la storia ipocrita che è stata propinata alla nostra gioventù, privandola di punti di riferimento insostituibili perché espressione di puri valori condivisi in tutto il mondo quali la coerenza, il senso del dovere, la responsabilità personale e l’amore per il proprio Paese. Il libro è scritto in forma agile ed interessante ed è di facile lettura.
NUOVO FRONTE N. 224 (2002) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
L'ULTIMA BANDIERA Marcello Zanfagna
Edizioni Settimo Sigillo, 2002
Pagine 192
 
Dalla copertina:  Nella memorialistica della Repubblica Sociale, L'ultima bandiera di Marcello Zanfagna, nonostante sia stato pubblicato nel 1956, è uno dei testi meno noti ma tra i più significativi e interessanti, non solo come documento personale e umano, ma come documento storico.  Scritto da un giornalista con stile giornalistico, è una testimonianza di prima mano sugli avvenimenti immediatamente successivi l'8 settembre a Roma, la nascita della RSI, la Scuola Allievi Ufficiali di Orvieto, il trasferimento a Nord.  Qui, l'attività dell'autore, corrispondente di guerra per quotidiani, riviste e per Radio Fante, consente di ripercorrere non soltanto gli avvenimenti bellici e politici, ma anche il clima che si visse nei seicento giorni della Repubblica: le polemiche sulla responsabilità dei rovesci militari e del 25 luglio, le discussioni sulla forma di Stato da dare alla RSI, la nascita di vari gruppi politici all’interno del fascismo repubblicano, le tensioni nate dagli atteggiamenti di Bruno Spampanato e del principe Borghese.  Importanti testimonianze porta Zanfagna su episodi cruenti, come la fine del comandante Bardelli o le famigerate imprese terroristiche di "Pippo", l'aereo da caccia alleato che uccideva i civili lungo la pianura padana, o anche sul generale Graziani e sullo stesso Mussolini, che Zanfagna vide alla vigilia del 25 aprile.  Prima alla GNR, poi alla X MAS, l'autore assistette all'ultima trasmissione di Radio Fante e all'ammainabandiera e all'autoscioglimento (non la resa) dei marò della Decima a Milano.  Poi, il "carnevale di sangue"; poi, come per molti, l'arresto e la prigione: il solo fatto di aver indossato la divisa degli sconfitti lo faceva considerare un criminale.
LA COLONNA MORSERO di Pierangelo Pavesi
Edizioni Nuovo Fronte, 2002. E 14,50. 157 pagine, 73 fotografie e tavole.
 
Pierangelo Pavesi, Milano, maggio 2003: Lo svolgimento degli eventi nell'ultima decade del mese di aprile del 1945, la tragica fine di Mussolini, del Governo della Repubblica Sociale Italiana e di migliaia di soldati repubblicani, oltre ad essere causata dalla ormai dilagante avanzata delle truppe angloamericane, è strettamente connessa ai movimenti di Mussolini e del suo Governo.
La mancanza dei collegamenti fecero sì che i soldati della R.S.I. e le istituzioni dello Stato repubblicano si trovassero improvvisamente senza notizie e comunicazioni, e quindi allo sbando.
Questo accadde in tutto il Nord Italia.
Le varie "colonne" che si formarono in quei giorni subirono, quasi tute, la stessa sorte cadendo nell'identico errore: arrendersi ai partigiani per cercare di risparmiare vittime e spargimenti di sangue.
La "Colonna Morsero", una delle colonne che si formarono in quei giorni, prende il nome da Michele Morsero, combattente pluridecorato, Capo della Provincia di Vercelli.
In questo libro viene ricostruita la storia della colonna facendo parlare i ricordi, le memorie, i diari di chi ne fece parte e di chi, nel dopoguerra, ne cercò le vittime disperse, facendo riferimento ai contemporanei spostamenti della "colonna Mussolini" in quei drammatici giorni.
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"Partirono alla volta di Novara un autobus e un autocarro scortati da elementi della 182ª brigata Garibaldi.
Settantacinque prigionieri furono stipati sugli automezzi. Alle ore 19 dello stesso giorno (13 maggio 1945) i due veicoli entrarono nell’area dell’ospedale psichiatrico di Vercelli, mentre era costretto ad uscire il personale del servizio ospedaliero.
I militi fascisti, in parte feriti ed in parte agonizzanti per i colpi ricevuti durante il tragitto, furono introdotti in due diversi camerini e perquisiti sotto un infuriare di mazzate che tinsero di sangue, fino all’altezza d’uomo, le pareti delle sale.
Alleggeriti di quanto avevano indosso e degli zaini, i prigionieri furono divisi in gruppi ed affidati ad altrettante squadre di partigiani.
Un gruppo di undici persone fu trasportato nella vicina frazione di Larizzate, fucilato e sommariamente seppellito in una trincea di difesa antiaerea.
Un altro, di non meno di una decina d’individui, fu schiacciato sotto le ruote di due autocarri che si muovevano nel piazzale dell’Ospedale a guisa di un rullo compressore.
Il grosso, infine, fu trasferito con due viaggi successivi al ponte di Greggio, mitragliato e gettato nelle acque del canale Cavour, mentre altri furono trucidati alla spicciolata e sotterrati nelle vicinanze del manicomio.
Verso le quattro del mattino la carneficina era compiuta....’’ Il brano sopra riportato è la descrizione delle stragi di Vercelli e di Greggio redatta dal Procuratore Generale della Corte d’Appello di Torino nella richiesta d’autorizzazione a procedere del 24 giugno 1949 contro i mandanti, Francesco Moranino "Gemisto’’ e Silvio Ortona "Lungo’’ deputati al Parlamento.
Non vi sono termini adatti per manifestare con le parole l’orrore di queste vicende che dovrebbero costituire la culla dell’Italia nata dalla Resistenza e rappresentarne i valori. Tempo fa, l’on. Violante, dallo scranno del Parlamento tuonava verso i suoi avversari politici e ricordava (o ammoniva) la storia che era alle spalle del suo partito. Questo è il vero volto del partito comunista italiano, che, non contento delle stragi e degli assassini, ha inteso avvolgere la Storia in una cappa di omertà e di oblìo.
Il testo presentato è una raccolta di testimonianze ben documentate sulla tragedia di una forte colonna militare della RSI che, nei giorni tragici del 25 aprile, nel tentativo di unirsi ad altre forze, al comando del Prefetto Morsero inizia la marcia verso Nord per sottrarsi all’incalzare degli anglo americani.
Gli eventi precipitarono, la mancanza di ordini e di collegamenti, notizie false propalate ad arte, lo scoramento di molti, la ribellione dei più giovani contro la resa, le lusinghe di preti e quanti altri si facevano garanti della vita dei soldati portarono alla consegna delle armi, cosicché i componenti della colonna rimasero alla mercè delle bande comuniste sostituitesi ai vari comitati che non garantivano più nulla.
La storia drammatica di questo Reparto è nella pagine del testo presentato; riportata sotto forma di diario, inizia il 28 aprile 1945 e termina il 13 maggio 1945 con la carneficina sopra descritta.
È una lettura da brivido, che addolora, che pone problemi di coscienza, che ci fornisce fondamentali criteri di giudizio su chi, ancora oggi, con arroganza e prepotenza, agita fantasmi e divide gli italiani.
Questo libro corredato da numerose foto e documenti dovrebbe essere usato come base per la conoscenza storica di quei combattenti giovanissimi ed anziani, che fino all’ultimo giorno furono fedeli alla parola data.
NUOVO FRONTE N. 217 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno.
 
 
 
Lina Derin (a cura di Gianantonio Godeas) CAPODISTRIA ADDIO LETTERE DI UN’ESULE 1945-1956
Milano - Mursia Editore. 2002. pagg. 214 illustrazioni b/n Euro 14,90 Recensioni    
 
 
Questa volta Mursia ci presenta, per la collana “Testimonianze - Fra cronaca e storia” una sorta di singolare diario iniziato da una giovane istriana di Capodistria a partire dal 27 marzo 1945, quando una guerra oramai agonizzante dava i suoi ultimi rabbiosi colpi di artiglio, sino al 18 gennaio del 1956, otto giorni prima della sua scomparsa, a Trieste.
Non si tratta di un’Opera di alto livello letterario né storico dal momento che è più un’elencazione di eventi che una narrazione; né è strettamente connessa all’argomento militare che solitamente trattiamo, ma è di notevole interesse se si vuol comprendere cosa avvenne in quegli anni in Istria e Dalmazia, ma più ancora nell’animo di tanti italiani là residenti, anche se attraverso un’ottica di parte a volte deformata ed esaltata dalle passioni che albergavano nel cuore dell’Autrice.
Più che un diario si tratta di una raccolta del fittissimo espistolario che Lina Derin, appartenente ad una numerosa famiglia alla quale sarà sempre molto legata, terrà sino alla fine con le sorelle Tina ed Emma, curata per la pubblicazione postuma da Gianantonio Godeas.
Isolata dalla guerra nella sua cittadina istriana, con il marito, farmacista, che lavora a Trieste la Derin subisce in prima persona il dramma oggi quasi dimenticato che venne vissuto nelle terre italiane del “confine orientale”, dove i problemi anziché terminare iniziarono con la fine della guerra.
L’Autrice, donna pacata ma dal carattere battagliero e deciso, vive tra la realtà dei militari tedeschi e della Repubblica Sociale che si ritirano e i partigiani di Tito che arrivano (non le forze regolari ma la banditesca soldataglia costituita da sloveni locali che al riparo della Ban diera jugoslava rapinavano e uccidevano a man salva), tra l’ambiguo comportamento degli alleati americani e quello inesplicabilmente duro dei britannici, fino al sospirato arrivo degli italiani a Trieste.
Vicende non meno travolgenti e dolorose, anche se paragonate a quelli della guerra, che culminano nella violenta repressione britannica dei moti di piazza dei disperati triestini che porta a morti e feriti, cosa inspiegabile provenendo da coloro che erano stati considerati anche dei liberatori.
Il tutto crea un intuibile senso di angoscia nella Derin, sensazione acuita dallo smembramento della famiglia (lei a Capodistria con il figlioletto Paolo, il marito a Trieste, un fratello nella X Mas e un altro internato in Germania perché di fede monarchica, le sorelle sfollate una a Caravaggio, l’altra a Stresa Borromeo), dai doveri verso il suo bambino, dalle difficoltà di una vita resa difficile per le vicende della guerra, il razionamento, i pericoli, poi per l’inizio di un nuovo regime che lei, di solida cultura italiana, sente avverso e ostile anche a causa dei continui atti di violenza, le sparizioni di amici e conoscenti, la sorte degli infoibati che trapela di tanto in tanto.
Tutto questo stress, diremmo oggi, verrà lentamente somatizzato dall’Autrice dell’epistolario sino a iniziarne a sentire delle conseguenze fisiche. E non varrà a molto il trasferimento a Trieste, lontano dalla casa di famiglia, dal paese natìo oramai divenuto estraneo; né sarà di grande aiuto la militanza politica nel Movimento Sociale scelta nell’illusoria speranza di poter giovare alla speranza di tornare un giorno a rivedere, non più come esule, Capodistria oramai ribattezzata Koper.
Questo lento mutamento si può scorgere fra le parole delle lettere nelle quali subentra una calma che non è rassegnazione o accettazione, ma un piegare la testa davanti all’ineluttabilità degli eventi che stravolge nel più intimo la persona minandola dall’interno. A otto giorni dalla morte la Derin conclude l’ultima lettera alla sorella Tina dicendo: “Qui c’è troppa gente, troppi disoccupati, la situazione è difficile...Sono contenta che tu stia bene e sia molto occupata perché se non si ha nulla da fare si diventa pigri, malinconici e si fila su. Le medicine non servono. L’estate scorsa dormivo 1-2 ore per notte, ora dormo anche 8-10 ore e sono diventata troppo pigra.”.
DA (http://www.alfabravocharlie.com la rivista telematica di sicurezza e difesa) http://www.alfabravocharlie.com/anno_2002/Aprile_2002/Aprile_2002_recensioni/Recensioni.html. Recensione di @lfabravocharlie. 
Cafiero Gaetano Ninì LUIGI FERRARO UN ITALIANO
Ireco 2002 Errato. Vedi nella pagina del 2000
Pansa Gianpaolo I FIGLI DELL'AQUILA
2002 Sperling & Kupfer editori, pagg. 396 per 17 euro 
Chi leggerà il nuovo libro di Giampaolo Pansa, «I figli dell’aquila» ("Sperling & Kupfer editori, pp. 396 euro 17) che arriverà in libreria il 15 ottobre, riceverà molte sorprese. 
Vedrà uno scrittore di sinistra parlare con serenità e rispetto di chi ha combattuto dalla «parte sbagliata». Lo vedrà raccontare la storia della guerra civile del 1943-1945 attraverso la vicenda di un ragazzo di diciannove anni, Bruno, che si arruola volontario nella Decima Mas all’indomani dell’8 settembre e che combatterà sul fronte di Nettuno nei primi mesi del’44. Lo seguirà poi nel campo di addestramento di Grafenwohr, in Baviera, dove arriverà in luglio dopo aver deciso passare con la San Marco. Poi verranno gli orrori della guerra civile, i tentativi del generale Farina, il comandante della divisione dei marò, di limitare al massimo la crudeltà dello scontro fratricida. Alla fine la morte di Bruno nell’aprile del ‘45 e le stragi dei «giorni dell’ira».
Il libro si snoda, avvincente e documentato, in forma di dialogo. Pansa immagina di ricostruire la storia di Bruno attraverso alcune, lunghe chiacchierate con un’anziana signora di oggi, Alba, legata a quel ragazzo da un amore forte e indistruttibile, un sentimento sopravvissuto alla morte e arrivato intatto al 2002.
L’autore descrive gli ideali di Bruno senza rinunciare minimamente alle proprie convinzioni. «Alla memoria condivisa- mi dice- non credo. Serve piuttosto la memoria accettata. Occorre conoscere, oggi, cosa pensava il nemico di ieri». Quella di Pansa non è una semplice provocazione. E’, molto di più, un invito al dibattito serio e civile, senza «stupide faziosità». In questa Intervista, sottolinea, non senza soddisfazione, che la prima presentazione del libro la farà il 25 ottobre il nostro Mario Bernardi Guardi a Pietrasanta, un comune amministrato dal Centrodestra.
Perché hai sentito il bisogno di occuparti di quei terribili venti mesi tra il ’43 e il ’45? Mah, diciamo che mi sono occupato molto spesso, passato, della guerra civile. E poi, sai, ci sono ricordi che non si cancellano… - VaIe a dire? Nel gennaio del ‘45 ero bambino ed ho visto sfilare, per le strade della mia città, un gruppo di partigiani destinati al plotone di esecuzione. Erano legati con le catene. Li facevano camminare, senza scarpe, in meno alla neve. Poi, qualche mese dopo, vidi le ragazze rapate a zero dopo la Liberazione. Alcune erano fasciste altre semplicemente sospettate di esserlo. E poi ancora passarono davanti ai miei occhi i fascisti di Salò catturati dai partigiani. Sfilavano su carri di legno prima di finire uccisi, chissà dove.
- Scene davvero terribili. Non mi è difficile comprendere perché ti siano rimaste impresse nella memoria. Immagino anche il tuo desiderio di capire che cosa era successo in Italia. E cosi? Certo. Me ne sono occupato anche perché penso che la guerra civile sia nel Dna dell’Italia di oggi. Nel ‘900 il nostro Paese ne ha vissute due. Una tra il 1919 e il 1922. E l’altra tra 1943 e il 1945. E adesso ce n’è in atto un terza, che ho definito, in un «Bestiario» sull’Espresso, «guerra civile di parole». Paolo Mieli l’ha invece definita «guerra civile mentale». Le grandi aree politiche si stanno delegittimando in modo furioso.
- Ti riferisci all’odierno spettacolo di questo bipolarismo un pò isterico? Sono d’accordo. Ma penso anche che in questa guerra virtuale ci sia molto teatro.
Ricordo sempre quello che mi disse una volta un amico di destra, che era stato alla Rsi: «L’ultima cosa che vorrei rivedere nella mia vita è una guerra civile. E’ una cosa orrenda e si trova ancora nella pancia del nostro Paese».
- Scrivendo questo libro, hai dunque guardato nella pancia d’Italia? Diciamo che ho voluto guardare nell’altra metà della Luna. Avevo già scritto della Rsi. Ma questa volta ho pensato di raccontare la storia di un ragazzo di Salò, l’espressione non mi piace ma rende comunque l’idea.
- Bruno, appunto. Un personaggio Inventato ma verosimile. Come Alba, anch’ella un personaggio dl fantasia? Non del tutto. Un’anziana signora di Padova mi telefonò effettivamente, dopo aver letto "La notte dei fuochi". Mi disse: " Visto che lei ha raccontato la nascita del fascismo, perché non ne racconta anche la fine?. Andai anche a trovarla e mi raccontò del fratello che era morto nella Rsi. Allora mi è venuta l’idea di andare contro l’onda corrente e di narrare, molto semplicemente, la storia di chi stava dall’altra parte.
- Torniamo un attimo a quelIa che hai chiamato «guerra civile dl parole». Non credi che dipenda anche dall’uso politico della storia? L’uso politico della storia avviene anche in altri Paesi, ma certo in Italia si colora di toni spesso grotteschi E - devo dire - la mia parte politica vi ricorre frequentemente. Da parte vostra vedo invece un fenomeno opposto.
- Nel senso? Mi sembra che non vogliate più saperne. Un amico, al quale ho fatto leggere il manoscritto, mi ha detto: "Avrebbe dovuto scriverlo un giornalista di destra" Be’, in passato ne hanno scritto in parecchi. Il problema è che i loro libri hanno avuto una circolazione quasi clandestina E poi risono le associazioni i gruppi che organizzano sempre incontri e convegni. Mi interessa piuttosto sapere con che spirito hai scritto, da uomo di sinistra, questa storia. Usando un’espressione un po’ abusata, direi che l’ho scritta con spirito laico.
- Per laicità intendi l’assenza di pregiudizi? Intendo la necessità di confrontarmi con la memoria degli altri. E questo lo dico senza rinunciare minimamente alle mie convinzioni e al mio giudizio sulla storia. Questa posizione - vorrei precisare - non la sostengo da oggi. Mi viene in mente un fatto che mi accadde quando avevo ventitre anni e mi stavo per laureare con una tesi sulla guerra partigiana. Dovevo fare un intervento in un convegno sulla storiografia sulla Resistenza… - ­Cosa successe? Con la baldanza di quell’età dissi che le storie della Resistenza erano da riscrivere per il fatto erano basate esclusivamente sulla memorialistica partigiana: non si potevano raccontare quei venti mesi senza fare anche la storia di Salò. Queste cose dissi davanti a Gabriele De Rosa e Roberto Battaglia. Avvertii subito un borbottio di disapprovazione in sala. Si alzò anche un anziano e distinto signore –appresi successivamente che era stato il primo sindaco di Genova dopo la Liberazione - che mi diede persino del fascista. Cominciai a sentirmi a disagio, ma chi presiedeva il convegno mi disse: «Non ti preoccupare, vai pure avanti». E continuai rincarando la dose e finendo tra la freddezza generale. Conclusi i lavori, quel signore che mi aveva incitato a continuare l’intervento volle conoscermi. Così mi disse : «Non entro nel merito di quello che hai detto, ma avevi un’idea e hai fatto bene a portarla avanti. Per incoraggiarti, ti darò anche una borsa di studio». Sai chi era? - Chi era? Ferruccio Parri.
- Formidabile, ma perché quelle posizioni non le assumeva pubblicamente? Perché dei fascisti non si doveva parlare. E se proprio se ne doveva parlare, bisognava dire che erano tutti brutti, sporchi e cattivi. Guarda comunque che un tale atteggiamento sopravvive anche oggi… Ahimé, lo so bene. A proposito, come pensi che il tuo libro verrà accolto dall’intellighenzia di sinistra? Puoi immaginare le critiche che ti verranno rivolte? Ti confido un segreto.
- Cioè ? Vorrei tanto che ci fossero delle critiche, ma il mio timore è che non diranno niente. E invece penso che nell’area antifascista si dovrebbe sviluppare una discussione.
- Pensi che si arriverà, prima o poi, in Italia a una memoria condivisa ? Non mi piace questa espressione perché ha il sapore dell’ipocrisia e della forzatura. Dovremmo piuttosto lavorare per una «memoria accettata». Ma a me sembra un traguardo ancora lontano dal momento che l’Italia di oggi non vuoI sapere niente del proprio passato.
- ­Non ti sembra un po’ bizzarra questa condizione? Da un lato ci sono le élites culturali che vigilano occhiute sulle memorie ufficiali e dall’altro una grande massa di indifferenti. Che ne pensi? Sono d’accordo. Invece della «memoria accettata», qui si sta imponendo la «memoria rifiutata". In altre forme, fortunatamente non cruente, si sta riproducendo la situazione della guerra civile di allora Con due minoranze che si fronteggiano davanti a un sterminata zona grigia.
- Insomma, ciascuno mantenga le sue convinzioni. Ma che almeno una parte sappia quello che effettivamente pensa e ricorda l’altra. E questa, Pansa, la «memoria accettata»? - Si, è questa. Ci deve essere rispetto per le memorie di tutti. Invece di protestare se erigono una lapide a Coltano, le associazioni partigiane dovrebbero pensare ai loro monumenti che si stanno disfacendo.
- Il rischio è l’appiattimento sull’oblio ? Il rischio è non sapere più quello che siamo stati 
 Da: http://www.latorrevalcanneto.it/ : INVITO ALLA LETTURA. Un libro al mese. Recensione di Aldo DI LELLO
 
 

Nino Buttazzoni SOLO PER LA BANDIERA I Nuotatori Paracadutisti della Marina
Mursia Edit. Milano Pag. 162 Euro 12,50. 2002.
Con la presentazione di Bartolo Gallitto si apre una pagina di storia della nostra Marina, di quella Marina che ha saputo dare il meglio di sé fuori degli schemi convenzionali dell’impiego delle navi della flotta, ristrette nei porti, soffocando ogni desiderio e volontà di confronto con il nemico.
La storia personale del Capitano del Genio Navale Nino Buttazzoni è quella degli NP della Marina inquadrati nel Reggimento San Marco Il Reparto nasce dall’intuizione, dalla costanza e dalla determinazione di Buttazzoni e si distinguerà nel corso della seconda guerra mondiale, sopravvivendo all’onta dell’otto settembre sia al Nord sia al Sud.
I vincoli di cameratismo fra i componenti del Reparto furono, e sono, talmente forti che non vennero mai meno anche fra chi operò scelte di campo diverse, concludendo con un abbraccio solidale le vicende della guerra. Chi ama veramente la Patria supera le divisioni determinate dagli interessi meschini di chi artatamente le ha suscitate. Un Soldato combatte, non uccide alle spalle, e con il termine della guerra depone le armi e seppellisce gli odi.
Il testo presentato racchiude, in dieci capitoli, la vita dell’Autore.
Interessante come un romanzo, evidenzia le qualità di un Soldato dedito al dovere, nel rispetto più assoluto di quei valori che sono alla base di ogni scelta, non per tornaconto personale, ma per il rispetto dei propri ideali. Terminata l’Accademia Navale, si laurea in ingegneria navale, effettua numerosi imbarchi e nel 1941 riceve l’incarico di organizzare il primo nucleo di nuotatori paracadutisti della Marina. La preparazione è tesa costituire un Reparto da impiegare a Malta. Quello che appariva come un intervento logico sfuma, ma ciò non incide sullo sviluppo della Specialità. L’addestramento è massacrante, ed incontriamo i più bei nomi della Marina italiana i quali costituiranno i riferimenti per i giovani che accorreranno a migliaia per essere arruolati nella X a MAS della RSI. L’impiego in Africa ed in Sicilia non è adeguato alle potenzialità del Reparto e quando sembra giunto il momento di un impiego consistente, in Calabria, alle spalle degli inglesi, lo sbarco viene rinviato e poi sospeso; dopo pochi giorni l’annuncio dell’armistizio.
L’8 settembre pone in crisi le coscienze.
Rabbia, delusione, senso d’impotenza di fronte alla situazione, mancanza di ordini, sbandamento morale e materiale, senso di colpa e di vergogna verso l’alleato di oltre tre anni di guerra sanguinosa.
Alcuni NP, in ossequio ad una forma d’obbedienza al Re, o per le circostanze o per necessità ripararono al Sud. Altri, seguendo un impulso personale, per lealtà verso i Caduti, per il senso dell’Onore nazionale e qualcuno anche per circostanze e necessità, scelsero il Nord.
Buttazzoni scelse il Nord e la X a MAS di Borghese. Con Lui una buona parte degli NP, realizzando un Corpo che seppe affrontare il nemico, sia sul fronte terrestre sia in quello più specifico dell’invio oltre le linee, pagando un alto contributo di sangue.
La fine della guerra decreta lo scioglimento degli NP e l’inizio di vicende personali dove la persecuzione sarà determinante nelle scelte di vita.
Dopo un periodo di clandestinità, Buttazzoni conosce il carcere, l’assoluzione dopo tre anni e il tentativo della Marina di reimpiegarlo, purché rinunci e rinneghi i valori morali che determinarono la Sua scelta di campo. Il diniego comporta altre scelte e così partirà la bellissima avventura della Micoperi, la prestigiosa società italiana di recuperi navali e di operazioni per le ricerche petrolifere in mare.
Nonostante i successi personali la X a e i suoi NP gli rimangono nel cuore: "… È una fiaccola sempre accesa e mi auguro che non si spenga mai, neppure quando raggiungeremo gli altri uomini del Reparto che ci hanno preceduto Lassù’’. Così scrive.
È un libro di storia che evidenzia ideali e volontà di una generazione d’italiani che tutto hanno dato ad una madre ingrata.
Non solo i giovani, ma ogni italiano di buona stirpe ritroverà se stesso in questa testimonianza che Buttazzoni ci dona.
NUOVO FRONTE N. 220 (2002) Rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M.Bruno

Fabrizio Mulas DA SALO’ A FIUGGI
[Brescia] : La rosa. 896 pagine. 2002 
Ho finito di leggere un libro notevole: "Da Salò a Fiuggi’’, scritto da Fabrizio Mulas. Esso narra la Storia del Movimento Sociale Italiano, a Brescia e in provincia. Voglio subito sottolineare che la storia, umana e politica, di questo magnifico schieramento di credenti, si immedesima con quella di Umberto Scaroni, che ne fu l’anima e che lo guidò per tantissimi anni. Scaroni è per tutti noi "Il Federale’’ di Brescia, è stato ed è un camerata di pura fede, dotato di una forte carica umana e di uno spontaneo altruismo. Per me è un amico, un camerata, un Maestro che insegna ed ha sempre insegnato cos’è la coerenza.
Scrive nella prefazione Scaroni che "il nostro Partito nacque per riscattare l’altrui disonore e riaccendere una fiamma nel cuore’’ di quanti conservano ancora intatto l’Ideale della Patria. Con queste parole Egli ha spiegato la vera essenza del MSI. Mulas, storico ben documentato, fa partire la narrazione dai tempi della RSI, prosegue parlando con dovizia di particolari dell’ "epurazione’’.
Aperta nel 1947, la Federazione missina condusse la battaglia "ideale’’ contro chi dell’Italia voleva fare terra di conquista per gli stranieri. E qui comincia la precisa, fedele e particolareggiata narrazione di tutti i principali avvenimenti che hanno caratterizzato un quarantennio di vita della Federazione bresciana, che ha avuto Scaroni come responsabile protagonista, dotato di brillanti capacità organizzative, unito da una profonda personale amicizia al più brillante personaggio politico dell’epoca, Giorgio Almirante, nata dal comune attaccamento ai Valori della RSI e dalla piena condivisione dei principi ispiratori della politica del Movimento Sociale Italiano.
Questi sentimenti caratterizzano tutti gli episodi lieti, tristi e talora drammatici vissuti dal "federale’’ Scaroni e dai suoi collaboratori, ampiamente rievocati dall’autore, dalla rivolta comunista di Genova, del luglio 1960 – scatenata contro il Congresso Nazionale del MSI, ma predisposta per far cadere il governo Tambroni – ai memorabili comizi tenuti in tutta la provincia da Almirante, il quale ripetutamente affermava che "il MSI non è soltanto protesta, ma è tradizione, è idea, è continuità, è dottrina, è quella ‘terza via’ che tutta l’umanità va cercando’’, e che nel 1969 volle tenere a Brescia il suo primo discorso pubblico dopo la elezione a Segretario Nazionale del Partito, perché "in questa Provincia ho passato, insieme a tanti camerati che son qui, i diciotto mesi della Repubblica Sociale Italiana. Ho scelto Brescia, caro Scaroni, per venire a salutare Te e a ringraziare Te, da amico ad amico, e per dirti, dopo tanti anni, che si continua, insieme a tutti i camerati di Brescia… nella buona battaglia’’.
Ricordati gli ottimi risultati elettorali raggiunti, e, quindi i drammatici giorni dell’attentato di Piazza della Loggia del maggio 1974, quando Scaroni tenne saldo in pugno il Partito, impedendo che le provocazioni avversarie potessero far degenerare una situazione già particolarmente tesa, l’autore descrive il difficile clima provocato ai vertici del Movimento, dall’ignobile tentativo scissionistico ordito dalla D.C. attraverso la creazione di "Democrazia Nazionale’’, miseramente fallito grazie all’unanime reazione di tutti i dirigenti periferici e dei camerati di base.
Quando, infine, nel 1987, per motivi di salute l’avvocato Scaroni lasciò la prestigiosa carica, Almirante volle personalmente presenziare alla cerimonia d’addio indetta dalla Federazione, pronunciando un discorso che fu una splendida testimonianza di vero affetto e di puro cameratismo.
Ho dedicato queste riflessioni sul bel libro dello storico Mulas, che rimarrà tra le opere di obbligatoria consultazione per ogni studioso che vorrà approfondire la storia del MSI, a Scaroni, protagonista, con Almirante, di questo libro.
L’ho dedicato a Scaroni perché, con grande impegno, da anni conduce una forte battaglia in difesa dei Valori della RSI. Ha infatti riaperto sezioni dell’Unione Combattenti RSI, ne ha potenziato altre; fa conoscere, come Vicepresidente Nazionale dell’UNCRSI, i motivi ideali di coloro che scelsero nel 1943 la trincea dell’Onore. Il settore di "Continuità Ideale’’ ha da lui uno stimolo costante, uno sforzo continuo a fare di più e sempre meglio.
Appartengo a Continuità Ideale e sotto la Sua guida sono certo che riusciremo ad alimentare i valori di fede e onore sul Suo esempio e su quello di coloro che fondarono, dopo la guerra, il MSI.
NUOVO FRONTE N. 230 (2003). Claudio Ferrari

Franco Grazioli DALLA DECIMA MAS ALLA RIVOLTA D’ALGERI
Prefazione di Enzo Erra, 2002 Edizioni Settimo Sigillo, Europa Libreria Editrice Sas, Via Sebastiano Veniero 74/76, 00192 Roma, Tel. 06/39722155 Fax 06/39722166, Pag. 125 euro 12,00
Questo romanzo è la storia di un soldato sullo sfondo delle ultime battute della guerra in Italia e dell’ultima pagina del disfacimento del potere coloniale francese in Algeria. Nei primi cinquant’anni del secolo passato, l’Europa aveva affrontato ben due guerre mondiali per darsi un nuovo assetto politico che meglio rappresentasse le nazioni emergenti, vitali ma povere, non rassegnate a far da comparsa in eterno. Masse di giovani avevano aderito ai nuovi sistemi politici interni ed al momento opportuno seppero rispondere alla chiamata con entusiasmo, senza fanatismi ma con la coscienza del proprio dovere.
Purtroppo gli esiti della guerra non furono quelli previsti, ma il declino dell’Europa travolse anche gli Imperi coloniali che dovettero cedere le colonie ai paesi colonizzati.
L’Algeria, per liberarsi dalla Francia, che tanto aveva operato contro l’Europa stessa, condusse una lunga lotta armata che vide l’impegno militare della Legione Straniera e dei migliori reparti militari francesi.
La prima parte del racconto inizia con l’ordine di ripiegamento del Battaglione Lupo della Decima MAS sulle rive del Po: gli uomini sono tristi ma non avviliti, sperano ancora di vendere cara la pelle, mantengono la calma e la disciplina per sopravvivere nel marasma della ritirata. La situazione precipita nel caos quando mezzi ed uomini dei vari reparti non trovano mezzi d’imbarco per traghettare sull’altra sponda, sotto l’incessante fuoco degli aerei nemici. La Decima rimane inquadrata fino a Padova ove, con l’onore delle armi, è fatta prigioniera ed avviata ai campi di concentramento. All’interno della cornice della cronaca, divenuta storia, si muovono i personaggi del racconto, le loro speranze, la loro fede al mantenimento della parola data quando si arruolarono volontari per i combattimenti affrontati, il senso d’isolamento ed il disprezzo per le bande partigiane. Ogni sogno è tramontato, il reinserimento in una società che non li vuole è difficile, hanno affrontato tutto il male possibile ma nessuno riconosce loro dei meriti. C’è un solo conforto: possono guardare il mondo fisso negli occhi con la fierezza di sempre.
La seconda parte riguarda sempre il protagonista della prima. Non accetta questa nuova Italia e si arruola nella Legione Straniera, combatte in Indocina e partecipa alla guerra d’Algeria.
È diverso l’ambiente, sono diverse le motivazioni per cui combatte, ma l’impegno ed il senso del dovere sono gli stessi. In definitiva, insieme ad altri giovani europei, difende l’ultimo bastione che argina l’invasione dell’Europa. È una guerra dura, piena d’insidie, i valori più grandi sono il cameratismo ed il rispetto di se stessi; forse non c’è odio ma l’impegno è stato assunto fino all’ultimo giorno di ferma. È nella fase finale del romanzo che arriva l’amore, palpitante, pieno di desiderio, che renderà la vita più umana anche se non s’intravede il futuro.
L’ambientazione nella Legione è ottima e l’Autore ce la mostra nel suo aspetto più normale, priva degli orpelli della leggenda.
È un ottimo romanzo che ci induce alla riflessione sugli avvenimenti del secolo trascorso, che hanno visto l’ultima Europa coraggiosa, la cui caduta ha aperto le porte ad una invasione di popoli e genti attratti dalla facciata fatua e non rispondente alla realtà, che mostra la televisione condannandola all’imbarbarimento culturale.
La lettura è piacevole per l’ottima esposizione e la semplicità del linguaggio atto alla descrizione giornalistica dei fatti.
NUOVO FRONTE N. 226 (2003) rubrica "Leggiamo assieme" a cura di M. Bruno
   

 
 
>>>Titolo privo di Recensione 
Ganapini, Luigi 
ISBD: La repubblica delle camicie nere / Luigi - Milano : Garzanti, 2002 - 519 p. ; 19 cm. - Gli elefanti (( - Bibliogr.: p. 489-503, Compl. del tit. sulla cop.: I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori 
Collezione: Gli elefanti 
Livello bibliografico: Monografia 
Tipo di documento: Testo a stampa 
Numeri: ISBN - 88-11-67683-5 
Nomi: Ganapini, Luigi 
Soggetti: REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA 1943-1945 
Classificazione: 945.0916 - Storia d'Italia. Periodo dellaresistenza armata e della fine del regno,1943-1946. 
Paese di pubblicazione: IT 
Lingua di pubblicazione: ita 
Localizzazioni: PA0064 - Biblioteca centrale della Regione siciliana - Palermo - PA 
RM0210 - Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Roma - RM 
RM0255 - Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - RM 
RM0280 - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma - RM 
TO0250 - Biblioteca del Centro studi Piero Gobetti - Torino - TO 
VT0028 - Biblioteca comunale - Grotte di Castro - VT 
Codice identificativo: IT\ICCU\IEI\0186306 
 
 

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